La7 di De Benedetti? Mentana non ci sta: "Saremmo meno liberi"

Il giornalista parla del futuro di La7: "Lo stesso accadrebbe con Rcs. Stiamo bene con un editore forte ma apolitico come Telecom"

La7 di De Benedetti? 
Mentana non ci sta: 
"Saremmo meno liberi"

«La7 cambierebbe sia con Rcs sia con De Benedetti, soprattutto con De Benedetti». Quella di Enrico Mentana è l’opinione di un giornalista geloso della condizione privilegiata in cui lavora. Ma è l’opinione del miglior direttore di tg in circolazione, da un anno al timone di quello di La7, rivelatosi decisivo per riaccendere tutta la rete. Difficile che i dirigenti di Telecom e Telecom Italia Media agiscano prescindendo dal pensiero dell’artefice della rinascita che è sul telecomando di tutti. La7 è in vendita, ha detto nei giorni scorsi l’ad di TiMedia Giovanni Stella, auspicando l’ingresso di un socio al 40 per cento. E siccome, tra pochi giorni la corte d’Appello di Milano si pronuncerà sul Lodo Mondadori, magari obbligando Mediaset a versare a De Benedetti qualcosa come 500 milioni, ecco che si è pensato all’Ingegnere come nuovo socio. Ma, analizzando i soggetti della proprietà Telecom - Banca Intesa, Mediobanca e Generali ovvero gli stessi del patto di sindacato del gruppo Rcs - pare almeno incongruo che gli editori del Corriere della Sera facciano ponti d’oro perché il patron di Repubblica venga a La7. Ora le parole di Mentana non saranno un semaforo rosso in piena regola, ma almeno arancione sì.

In sostanza, Mentana, lei dice: stiamo bene con Telecom...
«Stiamo bene con un editore forte, politicamente incolore. Un editore potente e silente. Come tutti sanno Telecom è un’azienda che ha nel suo nucleo proprietario le principali banche e assicurazioni del Paese. Questo ci garantisce una libertà invidiabile. Non la libertà della cooperativa, bensì quella di un’azienda con grande liquidità. Se venissero Murdoch, De Benedetti o un prestanome di Berlusconi non sarebbe più così».

Più probabile il secondo che il terzo, vista la televisione che fate.
«Bernabè e Stella non mi hanno mai detto cosa fare. Il vantaggio è che, in televisione, la libertà si vede subito. Sono un estimatore di Berlusconi editore, per il quale ho lavorato diciassette anni, e di De Benedetti editore. Tuttavia, credo che ora l’interesse di La7 stia nella sua terzietà. Non tanto politica, quanto rispetto ai giochi di potere».

Una terzietà antiCav.
«Terzietà non significa schierarsi con il terzo polo di Fini e Casini. O scegliere una linea moderata. Significa avere la forza di realizzare un prodotto libero per i telespettatori. Magari prendendo anche giornalisti come Filippo Facci e Gianluigi Nuzzi».

E Buttafuoco?
«Sono stato personalmente coinvolto nei pourparler tra Pietrangelo e La7. E non riesco a capire perché non sia già qui. E non per questioni di bilancino politico. Perché semmai, per chi lo conosce, Pietrangelo è un irregolare, un talento vero come ce ne sono pochi. E quasi tutti non fanno tv».

Finora a La7 prevale l’opposizione faziosa. E con Santoro stravincerebbe.
«La faziosità di Gad Lerner si vede a occhio nudo, non c’è il tentativo di abbindolare qualcuno. Se, come spero, Santoro verrà - come insegna il Trap, mai dire gatto se non l’hai nel sacco - farà quello che vorrà in un’emittente che lo permette a tutti. In un’economia di mercato come la nostra, la garanzia della libertà è il successo. Se hai successo sei anche percepibilmente libero. È il classico circolo virtuoso».

Per sintetizzare i movimenti di questi giorni e il suo linguaggio del corpo, braccia spalancate per Santoro e braccia incrociate per De Benedetti?
«Non incrocio le braccia davanti a nessuno. Ho lavorato a lungo in Mediaset, poi sono stato fermo un anno e mezzo, ora sono qui da un anno. Sono tutte esperienze che mi consigliano di non fare lo schizzinoso davanti a nessun editore. Dico solo che ora siamo in una condizione ideale».

In sostanza, lei vuole preservare questo equilibrio.
«Sia io che il suo direttore sappiamo che cos’è un editore ingombrante. Appena Sallusti scrive qualcosa di forte si parla di macchina del fango. Io, che non credo alle macchine tanto che non ho nemmeno la patente, ho lavorato sia nella tv di Berlusconi sia ora in una tv considerata antiberlusconiana. Ma sono sempre lo stesso. E sono contento di non farmi etichettare. Se il socio forte diventasse Tarak Ben Hammar si parlerebbe di berlusconizzazione di La7. Se diventasse De Benedetti, di pidizzazione...».

Se fosse la Rizzoli il rischio sarebbe minore?
«Non credo che gli editori di giornali siano i più attrezzati per diventare editori televisivi. La Mondadori ha ben presente l’esperienza fallimentare della prima Rete4 e la Rizzoli non ha dimenticato il tentativo di Pin - Primarete Indipendente. Conosco e stimo De Benedetti e non credo voglia prendere La7. Possedendo già ReteA, sa quanto costa un’emittente e quali sono i rischi».
Però con i nuovi probabilissimi innesti di professionisti di qualità...
«Per come conosco l’Ingegnere credo che della televisione pensi: meglio vederla che finanziarla. Lo stesso, secondo me, pensano i soci di Rcs. Per entrare in La7 al 40 per cento servono 60 milioni. E a quel punto si deve cominciare a investire di nuovo perché lo schermo è vuoto.

Dopo gli anni terribili che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, non so quali editori abbiano la forza per lanciarsi in un’impresa che richiede uno sforzo notevole anche per una delle principali aziende del Paese».

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