Il laboratorio del mondo di Lilliput

Sembra, ormai, quasi inutile ripeterci perché a volte ci cadono le braccia vedendo il cavallo italiano che non beve. A non bere, però, non è il cavallo dell’economia che pure è ricco di affanni e di contraddizioni. Quello che rifiuta ostinatamente di bere acqua fresca e saggezza antica è il cavallo della politica con effetti disastrosi sul governo, sul Parlamento ed inevitabilmente sull’intera società nazionale. Rischiamo di apparire agli occhi dei nostri lettori noiosi ed ossessivi ma quando il processo di frantumazione politica avanza inarrestabile e partorisce un governo di otto partiti è segno che davvero il tonfo può essere più vicino che mai. E quando questo processo di frammentazione si accompagna poi ad una complessiva rimozione di identità politica, sono le memorie residuali di ogni cultura a menare la danza e più piccole esse sono più diventano autoreferenziali ed incapaci di avviare una più ampia ricomposizione politica. Non vogliamo fare discorsi difficili ed ermetici, ma quando la coalizione di governo ha due partiti che si chiamano comunisti ma non riescono a farne uno solo, ha due partiti che appartengono in Europa allo stesso partito socialista (Ds e Sdi) e non riescono a farne uno, due partiti con forti radici democratico-cristiane (Margherita ed Udeur) e non riescono a farne uno, è segno che la politica è andata in cavalleria. Il suo posto è stato preso da utopie da laboratorio (il famoso Partito democratico), da partiti che sembrano ridursi a fatti organizzativi e da egemonie improprie come quelle rappresentate dal corto circuito procure-finanza-informazione.
Ne è una prima testimonianza la riunione voluta da Romano in quel di San Martino in Campo, meravigliosa terra umbra, per sciogliere nodi che avrebbero dovuto già essere sciolti da tempo. Ci sembra, infatti, di aver sentito per mesi che nella stessa villa nella quale ieri è finito il «ritiro», non sappiamo se spirituale o meno, dell’intero governo, era stato scritto quel programma di quasi trecento pagine che aveva vincolato in un patto d’acciaio uomini e donne dell’Unione. Noi avevamo timidamente ricordato che un programma non può sostituire le identità politiche e più queste sono smarrite, più difficile era un accordo di governo. Infatti solo chi ha forti culture politiche di riferimento è disponibile a trovare composizioni programmatiche verso le quali inevitabilmente si deve cedere un pezzo di bandiera. Se invece il quadro politico è una sorta di mondo di Lilliput con identità smarrite e derive personalistiche, ogni cedimento programmatico mette in discussione l’esistenza di ciascuno. Ed è quello che sta avvenendo nel governo nel quale, addirittura, sono ancora in discussione le deleghe di ciascun ministro ognuno dei quali, a sua volta, non ha neanche la libertà di concordare con i rispettivi viceministri e sottosegretari i compiti di ciascuno.
E dire che sono passati due mesi dalle elezioni politiche e quasi un mese dal varo del governo. Questo balbettio rischia, poi, di scadere col passare del tempo nel ridicolo. Dopo settimane durante le quali molti autorevoli ministri, a cominciare da quello dell’Economia, hanno fibrillato i mercati finanziari parlando di buchi spaventosi nei conti pubblici facendo crescere, così, lo spettro di un declassamento del debito pubblico italiano, l’unica iniziativa assunta dal governo è una direttiva della presidenza del Consiglio dei ministri piena zeppa di raccomandazioni per risparmiare sulle auto blu o su altre modeste marginalità. Non c’è dubbio che tutto fa brodo, ma qui sembra ripetersi la parabola di quel bambino che voleva prosciugare il mare con un secchiello.
Insomma, o il buco c’è e allora bisogna far subito una manovra correttiva o non c’è o è modesto e allora è inutile allarmare i mercati. Tertium non datur. E in questa confusione il festival degli interessi economici più ancora che dell’economia che si sta svolgendo a Trento applaude il pm Francesco Greco che tra l’altro si guarda bene dallo spiegare perché mai il custode giudiziario del pacchetto di azioni della Banca Antonveneta sequestrato dalla procura di Milano abbia in assemblea consentito che la gestione della stessa banca passasse senza colpo ferire e senza un soldo agli olandesi della AbnAmro il cui avvocato, guarda caso, era il notissimo Guido Rossi. Ma è giusto che il magistrato Greco non spieghi nulla ed è altrettanto comprensibile l’applauso. Greco rappresenta un potere forte che in nessuna occasione deve dare conto di sé e del suo operato e l’applauso conforta sempre chi è depositario, per l’appunto, di un potere che appare nelle condizioni di ordinare senza spiegare. Quell’applauso è testimonianza dell’antica vocazione italica del servo encomio e del codardo oltraggio in un Paese in cui la politica balbetta e il cui destino sembra essere affidato a quel corto circuito procure-finanza-informazione depositario sempre più di interessi e sempre meno di visioni politiche.


Il nostro dubbio angoscioso è che abbiano ragione loro mentre la nostra speranza è che essi abbiano torto marcio e che il Paese, il suo governo, il suo Parlamento e le sue forze politiche possano ben presto risvegliarsi.

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