Lacrime da via Lomellina «Non era solo una casa»

Raccolte in un libro le testimonianze degli sfollati: ricordi e speranze di 100 famiglie

Lacrime da via Lomellina «Non era solo una casa»

Bussate a un portone qualsiasi, in via Lomellina. E chiedete del «libro». In un attimo salta fuori. Il passaparola e l’idea di donarlo, in cambio di un contributo volontario per la ricostruzione, hanno fatto sì che nel quartiere si diffondesse in fretta. Copertina rossa e formato ridotto, tanto da stare nella tasca della giacca. «Non era solo una casa», è il titolo. L’hanno scritto «quelli del civico 7», quelli che la sera del 18 settembre 2006 furono sbalzati sull’asfalto mentre erano a cena, in pigiama e pantofole. Aneddoti, testimonianze, sfoghi, rimpianti. Tra le pagine ci sono tutti i sentimenti provati prima e dopo la tragedia, messi nero su bianco da chi ha potuto farlo, naturalmente. I «sopravvissuti» al crollo.
«Sono passati dieci giorni e della nostra storia non se ne parla più», scrive Luisa. Un anno dopo, però, le cose sono cambiate: ecco l’impegno del Comune per sostenere le famiglie coinvolte e l’iniziativa del Giornale per finanziare il recupero della palazzina. La «casa che non era solo una casa». Piuttosto un grumo di vita, di umanità, di condivisione come poteva essere una corte in stile «vecchia Milano». Nel libro gli inquilini costruiscono un mosaico di voci e ricordi. L’esplosione ha lasciato polvere e macerie, esistenze disperse, in parte ricomposte dalla scelta di sistemare 34 nuclei familiari nello stesso complesso di piazzale Dateo 5, almeno fino al 2009. Ma in via Lomellina i superstiti vogliono tornare, eccome. Servono 2milioni di euro. «Tutto qui?», dice una vecchietta guardando lo squarcio dal marciapiede.
Torniamo alle memorie su carta. C’è Maria, scampata al disastro e poi rincorsa dal destino sul pullman che la riportava in Ucraina, suo Paese natale. Paralizzata alle gambe, da ieri è ricoverata al Pio Albergo Trivulzio. «È bastata una telefonata della Moratti». Poi Chiara e Rosa che chiedono alla vita: «Perché? Non potevi metterci alla prova con più discrezione?». Oppure Rosy, che «da ragazza sognava di fare la modella o l’attrice per andare in televisione. E in tv ci sono andata la notte di quel 18 settembre», amara constatazione. Altri pensano con nostalgia al «profumo delle polpette della signora Enrichetta», spazzate via dalla puzza di gas e di fumo. Sulla ringhiera del numero 7, quella sera, c’era pure Simona con addosso la maglietta con la scritta «LomellaStreet», orgogliosa. Una comunità sempre stretta nel soccorso reciproco, che non cerca capri espiatori. Irina è convinta: «Una donna quasi mia coetanea si sarebbe tolta la vita. Non potrò mai odiarla. Al contrario, ho il cuore gonfio di pietà. Per lei e per tutti gli altri morti».
La dignità di chi adesso vuole ricominciare, fiducioso che i milanesi non volteranno le spalle. «Abbiamo ancora bisogno di voi».

Spiegano al Comitato di solidarietà per via Lomellina: «Ci siamo trovati a dialogare con le istituzioni, noi che il sindaco l’avevamo visto solo in foto. Aiutateci, perché la burocrazia non si ferma nemmeno davanti a un evento così drammatico».

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