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Una "Lady Macbeth" russa e molto swing. Tra satira, ironia, tragedia (e redenzione)

Presentata l'opera di Shostakovich, all'epoca stroncata da Stalin, che inaugurerà la stagione della Scala

Una "Lady Macbeth" russa e molto swing. Tra satira, ironia, tragedia (e redenzione)
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Il 7 dicembre, per la Prima della Scala, va in scena Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Shostakovich. Timori per il titolo chilometrico quanto sarebbe piaciuto alla Wertmüller? Preoccupa il fatto che a Milano l'opera sia stata vista solo due volte, e poco altrove? Guai, invece, a parlare di inaugurazione "coraggiosa", avverte Riccardo Chailly, il direttore che insieme al regista Vasily Barkhatov lavora al progetto da almeno due anni.

La protagonista, il soprano Sara Jakubiak, taglia corto: "Allacciatevi le cinture. Questo ruolo è come una McLaren, si va da 0 a 100 km orari in un batter d'occhio". È lei la Lady, all'anagrafe Ekaterina Lvovna Izmailova, che uccide il marito, la rivale e il suocero Boris: costui con funghi velenosi che in questa produzione non finiscono nella zuppa (così il libretto) ma in un milanesissimo risotto. Serial killer per amore di Sergej, "il peggiore di tutti gli uomini di quest'opera", dice ancora lei; "come tanti", forse, chioserebbe la nostra Vanoni. Ed è sempre Ekaterina la più esposta allo swing che anima questo capolavoro del Novecento: un'altalena continua tra satira, ironia beffarda, tragedia, violenza e improvvisi lampi di leggerezza da operetta.

Un su e giù costante, ma anche un'oscillazione tra il presente della Lady nella stazione di polizia, mentre confessa i delitti e il passato, nel ristorante Art Déco del suocero Boris. Una struttura alta otto metri e larga quindici, a due piani, è il cuore della scena: ruotando svelerà le varie stanze. "Assistiamo al dramma personale di Ekaterina", racconta il regista. "Il racconto originale di Leskov è misogino, mentre Shostakovich lo ribalta completamente".

Alla fine lei si suicida "perché si sente un mostro, con una coscienza nera come il lago davanti a sé" (Jakubiak). Ma proprio in quell'istante, osserva Barkhatov, "appare in un'altra dimensione, una sorta di solitudine galattica. Non è una donna abbandonata qualunque, ma qualcosa di più profondo e più grande". Shostakovich scrisse l'opera nel 1934, con l'audacia di un ventiquattrenne, già temerario nella scelta del soggetto, scabroso e disturbante, e forse anche per questo censurato.

Alla Scala va in scena una Lady mai vista prima, per esplicita volontà di Chailly. La vicenda si sposta dalla campagna di metà Ottocento a una città degli anni Cinquanta, in un momento in cui esiste ancora la proprietà privata tanto vituperata da un'opera che attacca frontalmente il capitale e i capitalisti.

Sono gli ultimi anni di Stalin e di Shostakovich: "Il titolo stesso ricorda il regista ha una relazione enorme e tristissima con il potere staliniano. Mettere insieme tutto questo, stilisticamente e ideologicamente, ci ha portato a scegliere quel periodo".

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