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L'amore per il cane? Vale 10mila euro

Li offre una coppia russa a chi ritrova il Pincher. I facoltosi padroni potrebbero comprarne un altro, ma vogliono il loro. Cosa siamo disposti a fare per i nostri migliori amici... 

L'amore per il cane? Vale 10mila euro

Genova - Cercasi Johnny disperatamen­te. Diecimila euro per chi lo ripor­ta a casa. Trattandosi di un cane pincher, si può dire che valga tan­to oro quanto pesa. Ma i suoi pa­droni non ne fanno un problema di soldi: un po’ perché gli affetti non hanno prezzo, un po’ perché sono paperoni russi. Il giallo: questa famiglia mosco­vita, alloggiata in un lussuoso al­bergo di Genova, il 17 agosto esce in punta di piedi dalla suite, cer­cando di non fare rumore, perché Johnny sta riposando. Dannazio­ne, ripensandoci adesso, forse sa­rebbe molto meglio fare un fracas­so d’inferno, così Johnny si sve­glierebbe e probabilmente segui­rebbe la famiglia in giro per la cit­tà.

Ma purtroppo gli accidenti av­vengono proprio così, con una di­sgr­aziata serie di dannatissime cir­costanze. Johnny non si sveglia e resta in camera. Quando i padro­ni tornano, verso sera, non lo ritro­vano più. Cercando subito di ricostruire la dinamica, gli investigatori sco­prono che una tessera magnetica ha aperto la porta durante il pome­riggio. Non ci sono dubbi: è un se­questro in piena regola. Il proble­ma è capire se ci sia ancora margi­ne per una trattativa, oppure se il vecchio Johnny non sia già piazza­to in qualche casa lontanissima dai mercanti di animali pregiati. Da quel maledetto 17 agosto non ci sono novità. I sequestratori non si fanno vivi. Ma i familiari di John­ny non si rassegnano: a mali estre­mi, estremi rimedi. Nasce l’idea della taglia, come per Gheddafi. Diecimila euro per avere notizie di Johnny e restituirlo all’affetto dei suoi cari. Non resta che aspet­tare. Dal loro soggiorno di Monte­carlo, i congiunti vivono ore di feb­brile apprensione. Come dice un nostro collega ge­novese, per diecimila euro, a Ge­nova, ne riportano venti, di John­ny. Ma questa è solo autoironia, la cara, malinconica, amara au­toironia genovese. Il caso resta s­e­rio e si aggiunge di diritto al faldo­ne sempre più colorito del setto­re «noi e gli animali». Lo sappia­mo: per certe famiglie moscovi­te, diecimila euro sono bruscoli­ni. Ma non è un discorso: con die­cimila euro se ne comprerebbero altri, di pincher. Questa famiglia invece spende la cifra che fareb­be fe­lice qualsiasi pensionato ita­liano perché rivuole proprio que­sto esemplare unico di pincher, unico e specialissimo, unico e in­sostituibile come la rosa del Pic­colo Principe, la rosa più rosa tra tutte le rose del mondo, la «sua» rosa. Follie animaliste? Ci sono uma­n­i che ormai fanno qualunque co­sa, per il proprio parente animale. Basta affrontare un viaggio via In­ternet per imbattersi in specialissi­mi centri wellness, boutique, sar­torie, spa, alberghi, psicologi, die­tologi e persino animal-trainer (che non è l’allenatore un po’ ma­iale di belle sventole, ma l’allena­tore specifico per la bestia). Il volu­me d’affari che sorregge questo smisurato amore per le altre spe­cie viventi è enorme.

Non sarò cer­to io a inalberare il famoso e fumo­so discorso sull’etica sottesa, tutti la conoscono bene: qualcuno di­ce che chi ama gli animali ama an­che i cristiani, altri dicono che chi ama gli animali non sopporta i cri­stiani. Non so come funzioni dav­vero. Io adoro gli asini, i delfini e i cani, in rigoroso ordine di affetto. In generale, ho la certezza che le bestie siano persone serie. Sono convinto che meritino il rispetto e la generosità incondizionata riser­vati da loro stesse a noialtri. Inevi­tabilmente, per la loro salute cer­chiamo i medici migliori, per la lo­ro alimentazione scegliamo i pro­dotti più sani, per il loro comfort scegliamo i luoghi più ameni. La civiltà e il benessere hanno pro­dotto anche questo, chiamiamo­lo­pure un più elevato grado di sen­sibilità nei confronti del creato. Però c’è un limite, a tutto que­sto. Deve esserci. E dove sta il limi­te? È abbastanza facile individuar­lo. Si tratta di capire, studiandoci sinceramente, se le stesse cose sa­remmo disposti ad affrontarle an­che per l’ultimo degli esseri uma­ni.

Se sì, le supertaglie per i nostri Johnny non hanno nulla di scan­daloso e di abnorme. Se no, è il chiaro segnale che qualche fusibi­le, dentro la nostra anima, è salta­to. È il segnale che gli animali ci hanno esautorati e si sono insedia­ti al nostro posto. I padroni sono lo­ro.

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