Controcultura

L'amore «oscuro» di Pasolini per la poetica di Bach

In un libro la passione del poeta per il musicista raccontata con aneddoti e rigore filologico

Mattia Rossi

«Il punto d'inizio d'ogni composizione bachiana è già altissimo. E tutto il resto non dovrà che mantenersi alla medesima altezza. Quindi, se vorremo scegliere un'immagine per la direzione della sua musica non credo ci sia nulla di più adatto che una retta orizzontale, se, a quell'altezza, Bach non ha da far sforzar alcuno per mantenercisi. Questa è arte, anzi, sarei tentato a dire, natura». Queste parole dedicate a Johann Sebastian Bach non sono di un critico musicale, ma vennero scritte, tra il 1944 e il '45, da Pier Paolo Pasolini nel pochissimo noto (e incompiuto) Studi sullo stile di Bach, un lavoro musicologico ispirato alle sei sonate per violino BWV 1001-1006 del Kantor. Pasolini non lo finì: ma il fascino di quelle pagine sulla Siciliana della prima sonata rimane intatto.

Bach fu senza dubbio il prediletto di Pasolini e fece capolino in altri lavori, come nel romanzo Atti impuri, senza contare l'utilizzo della musica bachiana nelle pellicole Accattone e Il Vangelo secondo Matteo. A iniziare Pasolini a Bach fu la violinista slovena Pina Kalc, conosciuta a Casarsa, in Friuli, nel febbraio del '43: «Bach rappresentò per me in quei mesi la più forte e completa distrazione: rivedo ogni rigo, ogni nota di quella musica; risento la leggera emicrania che mi prendeva subito dopo le prime note, per lo sforzo che mi costava quell'ostinata attenzione del cuore e della mente», ricordò il poeta nei Quaderni rossi. La Kalc, addirittura, tentò di dare al giovane Pasolini lezioni di violino. Ma non ebbe successo, raccontò la violinista: «Non studiava. Mi diceva: Ma no, Pina, mi suoni lei, e mi suoni Bach. Sempre finiva così. Metteva il violinetto nell'astuccio, si metteva a sedere: Mi suoni Bach». Quelle audizioni però, folgorarono Pasolini tanto che, nelle Pagine corsare, scrisse idealmente alla Kalc: «Mi sento ancora fortemente commuovere dalla sua immagine che suona Bach; lei ha costruito un edificio saldissimo nella mia vita». Ed è vero: la musica e Bach, per Pasolini, furono un edificio saldissimo. Ne si ha conferma anche scorrendo la discoteca di Pasolini, la lista dei suoi dischi pubblicata, esattamente vent'anni fa, dal musicologo Roberto Calabretto: dei suoi 57 dischi di musica classica, ben 17 erano di Bach (secondo posto per Mozart, ma con soli 6 dischi).

Potremmo proseguire nel districare la rete del legame tra Pasolini e Bach, ma non occorre: l'uscita di Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances (Diastema, pagg. 368, euro 23, prefazione di Stefano La Via) della musicologa Claudia Calabrese getta provvidenziale luce su tale terreno non sufficientemente battuto. Un legame, quello tra Pasolini e la musica, abbastanza oscuro, anche in ambito musicologico, per una sorta di diffidenza verso le sue pagine musicali. Pasolini stesso, nel suo Studi sullo stile di Bach, non fece mistero della sua «quasi assoluta ignoranza» dell'opera di Bach, «eccettuate le sei sonate per violino solo, che io conosco limitatamente alla mia capacità di conoscer musica, cioè alla mia capacità di esprimere criticamente quel poco che capisco». Eppure e questo è un primo merito dell'opera della Calabrese gli scritti sulla musica di Pasolini sono chiarificatori della sua predisposizione verso la musica e, parimenti, verso l'arte poetica, verso quell'«infinito tra le fessure delle sillabe». Con un rigore e una scientificità assoluti, che però non sacrificano nulla della accessibilità e scorrevolezza del libro, la Calabrese mostra un Pasolini musicologo e musicofilo a tutto tondo: non solo i suoi scritti e l'utilizzo della musica nei film, ma anche, nella seconda parte, tre opere e messe in musica di testi di Pasolini: Memoria di Sylvano Bussotti, Danze della sera di Ettore De Carolis e Che cosa sono le nuvole? di Domenico Modugno.

Quella di Pasolini fu una vita di «corrispondenze», per dirla con l'autrice del libro, con la musica.

Egli stesso, del resto, dichiarò il suo amore per l'alta arte dei suoni in Poeta delle ceneri: «Io vorrei essere scrittore di musica,/ vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / e lì comporre musica/ l'unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà».

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