Lang Lang dalla Cina con amore

Piera Anna Franini

La storia del cinese Lang Lang, il pianista ventiquattrenne venerato come una pop star, inizia con il sogno ossessivo dei genitori che su quel loro unico (unico per volere dello Stato) fanciullo deposero ogni speranza di riscatto sociale, a beneficio proprio e del figlio.
Una storia già impressa nel nome: Lang Lang in cinese sta per «uomo brillante», ci ha spiegato il pianista. Ad alimentare tanta «brillantezza» vi sono scritture da Mille e una Notte. È stato il primo cinese ad aver suonato con le cinque più grandi orchestre americane e con i Berliner. Ha già varcato la soglia della Carnegie e Wigmore Hall, del Kennedy Center di Washington, Louvre di Parigi, festival di Verbier, BBC Proms. Dal 2003 incide in esclusiva per la Deutsche Grammophon. È stato diretto da Daniel Barenboim, Sir Colin Davis, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Riccardo Muti. E domani sera Riccardo Chailly, alla Scala (ore 20), qui per un concerto con la Filarmonica.
A siglare il debutto scaligero di Lang Lang, il Secondo Concerto di Rachmaninov (inciso sotto la bacchetta di Gergiev) che si pone fra la prima esecuzione italiana di Fünf Botschaften für die Königin von Saba e Le sacre du Printemps di Stravinskij. Lang Lang arriva a Milano, dove si fece conoscere nel 2003, dopo i successi di Roma, lo scorso marzo, dove ha presentato pagine racchiuse in Memory, l’ultimo cd per la DG che ripercorre le tappe chiave di quell’enfant prodige fattosi pianista maturo.
Chi sia Lang Lang è cosa nota, del resto non è l’artista che si nega all’intervista. Sappiamo che s’è comprato casa a Filadelfia, Berlino e Pechino, che suona e incide senza risparmio, che è legato intimamente alla Cina sebbene l’estroversione, l’attitudine alla comunicazione e una gestualità generosa ci rammenti i dieci anni spesi negli Usa.
Sono un po’ in ombra gli anni di Pechino (lasciata nel 1997). Anni di semi-povertà. Lang Lang ci racconta la vicenda del padre Guoren Lang, musicista (suona l’er-hu, strumento tipico cinese) e di sua moglie Xiulan Zhou che lo avvicinarono al pianoforte a soli tre anni. Studi con il padre e poi la consapevolezza che per fare il salto era necessario lasciare Shenyang, città nel nord-est, a confine con la Corea del nord, e portarsi a Pechino.
Il padre, sorta di Leopold Mozart della situazione, lasciava ogni cosa – compresi moglie e lavoro - si trasferiva con il figlio in un appartamento di Pechino dove il bagno veniva condiviso tra quattro famiglie, riscaldamento al minimo, il mezzo di trasporto era una vecchia bicicletta. Il resto è conseguenza.
Ora Lang Lang torna abitualmente a Pechino, in un appartamento lussuoso che frequenterà sempre più spesso considerato che ha accettato di tenere masterclass nel Conservatorio cittadino. In quella scuola dove l’insegnante, ci racconta lui, un giorno lo espulse dall’aula «dicendomi che il pianoforte non faceva per me».

Per la legge del contrappasso, quella stessa docente a gennaio era seduta in prima fila a un concerto dell’ex allievo poi insignito della titolo di docente. «Non so cosa pensi di me, ora. Forse bene, forse male», commenta Lang Lang con il senso dell’ironia e del distacco che una vita dura alimenta.

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