LA FESTA PERDUTA (Italia, 1981) di Piergiuseppe Murgia con Fabrizio Bentivoglio, Cristina Donadio - 85".
Inverno 1977
non fu una bella stagione
Il terrazzo in cima a un palazzo nei pressi di Piazza Cavour, un uomo che cammina con i suoi pensieri: «
sempre ripeto le stesse cose che mi hanno accompagnato in questi anni di fuga». Luca (F. Bentivoglio), militante della sinistra armata, è un uomo solo che guarda il mondo e se stesso. E ciò che vede non gli piace. Genova che tramonta con lui lo circonda ed abbraccia idealmente, trabocca da tutte le finestre della casa (Palazzo S. Giorgio, il Porto, Via del Molo, ecc.). Quando Luca inizia a raccontare sostituisce il maglione nero che indossa con una camicia bianca. Murgia («Maladolescenza»), genera un film dal titolo perfetto, coraggioso ma carente, traboccante di simbolismi, pesantemente didascalico.
Siamo a Roma: il protagonista è figlio di un generale, lui ed i suoi amici hanno i nomi degli evangelisti; c'è il vecchio militante (Remo Remotti) che aizza, la «casa del sorriso» sgomberata con la ruspa, la radio libera, le femministe, i dibattiti e litigi (con bestemmie) sulla scelta della lotta violenta, i ritratti di Marx e Marcuse calpestati in una zuffa, gli spinelli, l'amore libero, l'assassinio di una ragazza (allusione a Giorgiana Masi), i volantinaggi, le discussioni tra compagni. Il dialogo tra i ragazzi che puliscono i «cessi» della comune resta: «il comunismo, quello vero, non esiste in nessuna parte del mondo» e «ma che cazzo cagano 'sti compagni?». Bentivoglio, in rodaggio, dovrebbe rappresentare il «demone» del caso ma funziona a sprazzi. Incontra Sara (C. Donadio), come lui in fuga dalle manganellate della polizia, tra
le tombe di un cimitero. «Devo fare pipì» dice lei, con gli sbirri inferociti a due passi
Eppure non la molla. Fa fuori invece due agenti della scorta del padre e fugge con la ragazza e due compagni. Hanno in mente un colpo a Genova, all'Italsider. E la «Superba», annunciata da una spiaggia sporca e dai viadotti autostradali, appare: disgregata, scura, decadente, industriale
estranea. La stazione di Cornigliano, l'altoforno, S. Biagio, la Sopraelevata, Sottoripa, zone diroccate nei vicoli. Si incontrano stranieri ubriachi, baristi che vendono armi, trans e prostitute, vecchi. Prendono accordi vicino alle case incastrate sotto il ponte di Via Ravasco, dai «Giardini di plastica». La scena della tentata rapina (Villa Bombrini) è tremenda: dai palazzi di fronte decine di agenti li mitragliano al ralenty, come nei film di Castellari. Ed il traditore/provocatore dà pure il colpo di grazia a Sara. Finale: ritorno sul terrazzo al tramonto; Luca si spara davanti ad uno specchio.
Non è per niente un film riuscito, eppure si avverte costante un flusso di partecipazione, una voglia di capire, immergersi e provare a rappresentare a caldo la materia ostica degli anni di piombo. Restano le immagini di Bentivoglio circondato dai tetti e dal tramonto genovese.
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