Controcultura

L'arte è intoccabile, chi la censura crea martiri

Gli attacchi a Marina Abramovic per il manifesto della Barcolana ribadiscono la miopia dei politici

L'arte è intoccabile, chi la censura crea martiri

C'è un limite alla stupidità, anche di amici, come i leghisti più puri e intransigenti (penso al ministro Fontana, con il suo legittimo richiamo alla famiglia cristiana), di cui spesso condivido anche le posizioni più difficili. Ma si vede che a Trieste non ci arrivano. E anzi si applicano per ottenere un risultato opposto alle loro intenzioni. Così sono riusciti a fare una grande pubblicità al Manifesto per la Barcolana di Marina Abramovic, una icona dell'arte di avanguardia, sulla quale è consentito esprimere dissensi, ma mai censure.

La censura è il miele per gli artisti. Li innalza, li fa diventare simboli, li protegge come uno scudo. Proprio perché l'artista non è un politico, anche se fa politica, contrapporsi alle sue proposte è sempre fallimentare. Ne farai un eroe. Certo gli artisti tendono a essere all'opposizione del potere, danno voce a proteste; ma è soltanto una visione miope che riduce le loro astrazioni a contrasti ideologici, su politiche locali o globali. Non credo che sappia molto, Marina Abramovic, della politica italiana, ma quando la società che amministra la meravigliosa Barcolana di Trieste, tra le più grandi regate di immagine del mondo, le chiede di disegnare il Manifesto, l'ammirata artista, in una grafica neo-suprematista, impugna una bandiera bianca (basterebbe questo), con la scritta: «Siamo tutti sulla stessa barca». Bello. Universale. Vero. Come allegoria della vita umana, e solidarietà verso quelli che l'infelice destino imbarca verso viaggi tempestosi.

Gli amici cristiani della Lega vorranno ammettere che il minimo è affermare, per noi che abbiamo la fortuna di non esserci, «siamo tutti sulla stessa barca». Come vien loro in mente di dire, della idea universalistica della Abramovic, «un Manifesto che fa inorridire, diffuso proprio mentre il ministro degli Interni Matteo Salvini è impegnato a ripulire il Mediterraneo»?

Non è contro di lui, e non è contro nessuno il manifesto della Abramovic. E non vi è parola più sconcia che «ripulire». Ripulire da che? Non è quello che fa Salvini, che convoca invece le responsabilità di un intero continente per «affrontare insieme le emergenze ambientali e sociali del pianeta». Gli stessi propositi della Abramovic. Con questa polemica il Manifesto della Barcolana è blindato. Mi auguro che il presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Fedriga, uomo intelligente, richiami il vicesindaco di Trieste, che disonora la sua città, il suo partito e i valori umani e cristiani che quel Manifesto evoca, attraverso una formula felicissima. È vero: siamo tutti sulla stessa barca. Andrà forse spiegato all'improvvido che l'immagine è diffusa fin dall'antichità, nel mondo greco come in quello latino. Viene utilizzata da Cicerone, da Livio, da Aristeneto e altri, e se ne trovano diverse varianti, come «essere legati alla stessa macina» o «bere dallo stesso bicchiere». Quest'ultima ricorre anche nel Vangelo di Matteo (20,22), in cui Gesù domanda se i figli di Zebedeo sarebbero in grado di bere dal suo stesso calice. Una formula bellissima, intelligentemente adottata dalla Abramovic, e adattata alla festosa Barcolana, una esperienza di mare che è all'opposto delle dolorose traversate dei profughi, solo apparentemente nelle stesse condizioni. La Barcolana ha così intercettato valori universali, innalzandosi.

L'Arte è intoccabile. La censura crea inutilmente martiri e vittime. Già l'amico Andrea Ostellari, a Padova, equivocò L'Italia in croce di Gaetano Pesce. Non era una idea blasfema, ma una reazione ai mali dell'Italia, dalla mafia ai cattivi governi. Una metafora, quindi. Ora, un politico locale, con inutile interferenza, parla della idea della Abramovic come «inaccettabile e di pessimo gusto, una propaganda immorale», inventandosi, per quello che è addirittura un proverbio sulla uguaglianza degli uomini (siamo tutti sulla stessa barca) che si tratti di «uno slogan sovietico e un'immagine da Corea del Nord». Falso. Oltre che ingiusto. Anche se fosse un «invito a solidarizzare con gli immigrati», la solidarietà è sempre un valore cui è insensato andare contro a testa bassa.

Non c'è più grave errore che buttarla in politica, ed è l'ultimo che un cristiano, che vota Lega, deve fare.

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