Roma - La tormentata parabola parlamentare di Cesare Previti si è conclusa. L’avvocato romano ha, infatti, presentato le sue irrevocabili dimissioni da Montecitorio. Un addio ufficializzato attraverso due lettere (una indirizzata al presidente della Camera Fausto Bertinotti, l’altra ai parlamentari per chiedere l’adozione del voto palese) lette in Aula dal capogruppo di Forza Italia, Elio Vito. Una mossa, quella di Previti, che spariglia i giochi e rende vano il voto inizialmente previsto sulla sua decadenza dalla carica di parlamentare in seguito alla condanna a sei anni nel processo Imi-Sir e all’interdizione dai pubblici uffici. Una scelta simbolica, motivata dall’ormai ex deputato con la necessità di non sottomettere il Parlamento alla volontà della magistratura.
L’addio di Previti - che sarà sostituito dall’azzurro Angelo Santori, primo dei non eletti - costringe, naturalmente, l’aula di Montecitorio a cambiare i propri programmi e a votare soltanto per accettare la sua richiesta di dimissioni. «Sono innocente e sconto una sentenza ingiusta» scrive il parlamentare che chiede che sulle sue dimissioni non si voti a scrutinio segreto. Una richiesta non accolta perché Bertinotti pretende un via libera unanime da tutti i parlamentari ma Marco Boato esprime il suo dissenso.
Il dibattito in aula è serrato. Previti, attraverso Vito, motiva così le sue dimissioni. «Se dichiaraste la decadenza compireste un atto di sottomissione del Parlamento al potere non sovrano ma sovrastante dell’autorità giudiziaria, riconoscendole un primato sul Parlamento». Il centrodestra lo difende con forza, sottolineando che l’espulsione di Previti dal Parlamento equivarrebbe a riconoscergli uno status di «cittadino minore». Il motivo? La pena accessoria che fa scattare l’interdizione dai pubblici uffici potrebbe decadere al termine dell’affidamento ai servizi sociali. Sarebbe quindi opportuno attendere di sapere se l’interdizione sarà confermata o no prima di procedere. Compatto invece l’Ulivo che annuncia il voto favorevole.
Alla fine le dimissioni vengono accettate con 462 sì e 66 no. Tra i leader del centrodestra, vota solo Pier Ferdinando Casini. Silvio Berlusconi non c’è e nemmeno Gianfranco Fini, che pure è stato in aula fino a poco prima del voto. Per l’Unione ci sono Fassino, Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio, Rosy Bindi e Sircana.
La giornata è, ovviamente, costellata di momenti polemici.
Soprattutto quando Vito attacca Fausto Bertinotti. «Previti oggi non è qui - dice il capogruppo azzurro - non per mancanza ma per una precisa volontà del presidente della Camera che ha fissato in questa settimana questo dibattito. Un comportamento inaccettabile». «La presidenza della Camera - replica Bertinotti - non ha privato Previti della sua possibilità di essere presente. Le procedure ordinarie avrebbero reso possibile la sua presenza». Vito riprende la parola e, senza mezzi termini, definisce Cesare Previti «un obiettivo politico» e aggiunge che non c’è la serenità necessaria per giudicarlo come dimostra la frase pronunciata da Luciano Violante nei giorni scorsi secondo la quale il voto sarebbe stato solo «un adempimento notarile». Vito ricorda, inoltre, che in una precedente legislatura l’allora presidente della giunta delle elezioni Antonello Soro (Ulivo), si pronunciò affinché, in un caso analogo a quello di Previti, si rinviasse il voto sulla decadenza dal mandato di parlamentare, per consentire che l’affidamento in prova ai servizi sociali cancellasse l’interdizione perpetua dai pubblici uffici».
Le reazioni sono, nella maggior parte dei casi, orientate dall’appartenenza politica. Se la sinistra festeggia, Ignazio La Russa parla di «un gesto nobile». Francesco Nucara sottolinea come si sia trattato di «una scelta tutta politica».
Il subentrante Santori si dice «dispiaciuto per come è stato trattato Previti». Secco il commento di Marcello Pera. «Domani, quando da cacciatori diventeranno braccati, rimpiangeranno di non aver difeso Previti, il Parlamento e loro stessi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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