Lassini resta in lista: il partito si divide tra falchi e colombe

Il caso dei manifesti anti pm agita il Pdl. Ma la Moratti: «Adesso voltiamo pagina»

Impossibile togliere il nome dell’avvocato Roberto Lassini dalla lista dei candidati del Pdl al consiglio comunale non è proprio possibile. Lo vieta la legge. Ieri mattina all’Ufficio elettorale del Comune l’ultima verifica. E così il presidente dell’Associazione al vertice della democrazia che si è assunto la responsabilità dei manifesti choc anti-pm comparsi sui muri di Milano, potrà comunque essere votato. Anche se ha ribadito al coordinatore regionale del partito Mario Mantovani che non farà campagna elettorale. Ma soprattutto la sua disponibilità a rinunciare a un eventuale seggio in caso di elezione. Una decisione che ha quietato il sindaco Letizia Moratti che era stata pronta a mettere un «aut aut». O lui o io, aveva tuonato assicurando di non essere assolutamente disposta a tollerare la benché minima concessione. Aprendo una spaccatura nel partito. Con i falchi pronti ad assumere la difesa di Lassini e altri rapidi a dissociarsi da slogan tipo «Toghe rosse, ingiustizia per tutti». Forti, ma condivise da una parte del popolo del centrodestra. «Lassini lo voterei anche in nome di Enzo Tortora - le parole del sottosegretario all’Attuazione del programma Daniela Santanché - Perché la battaglia è la stessa, quella della giustizia. Perché sono contro l’ingiustizia, perché sono stufa di questi magistrati».
Chiede di «voltar pagina» lo staff di Letizia Moratti. Che nega qualsiasi attrito con Berlusconi e anche ieri ha ripetuto che «il Viminale ha indicato la strada e la strada non può essere che quella indicata dal Viminale». Le resistenze di Lassini? «Se ne sta occupando il partito. Io ho chiarito una cosa molto semplice: la mia incompatibilità di sindaco con la sua presenza in consiglio comunale. Questo l’ho chiarito con il partito e adesso se ne sta occupando».
Sul fronte della Procura si è ancora fermi alla Digos che ha depositato ai pm titolari delle indagini (Armando Spataro, Ferdinando Pomarici e Grazia Pradella) la comunicazione delle notizie di reato e interrogatori confluiti nel fascicolo aperto per vilipendio dell’ordine giudiziario. Gli investigatori hanno raccolto e incrociato le testimonianze dei titolari della «Bergomi&Falcone srl» (società che si occupa di comunicazione elettorale), del responsabile commerciale della «Gpp» (azienda grafica con sede a Truccazzano) e di quelli della «Hora 24» (azienda che opera nel settore dei servizi di promozione elettorale). La relazione della Digos ricostruisce la genesi dell’operazione-manifesti risalendo a Giacomo Di Capua (braccio destro - indagato e dimessosi martedì - del coordinatore regionale del Pdl Mario Mantovani) quale interlocutore delle tre società alle quali è stato chiesto a febbraio di partire con la campagna di affissioni.

La prossima settimana i pm dovrebbero inviare al ministro della Giustizia Angelino Alfano la richiesta di autorizzazione a procedere per il reato di vilipendio dell’ordine giudiziario. Senza quel nulla osta, la Procura non può sottoporre gli indagati agli interrogatori per risalire la catena della committenza e verificare se la regia dell’intera operazione sia ascrivibile ai vertici del Pdl.

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