Lauzi, un concerto-cabaret lungo quarantaquattro anni

Il piccolo grande uomo della canzone d’autore questa sera ripercorre la sua carriera a Chiavari

Lauzi, un concerto-cabaret lungo quarantaquattro anni

Maria Vittoria Cascino

da Chiavari

«Un concerto-cabaret. Una sorta di riassunto delle puntate precedenti e tanto divertimento». Bruno Lauzi presenta così l’appuntamento di questa sera alle 21 in piazza Mazzini, promosso dal Comune nella Chiavari vecchia che dà sui portici. Con lui e il trio («siamo quattro ma sembriamo quaranta») che lo segue da una vita: Raniero Gaspari alle tastiere, Lauro Ferrarini alle chitarre e Lello Accardo al basso. Per festeggiare i suoi 68 anni, che «se non lavoro non saprei cosa fare». Per zittire i gufi che, per questo Parkinson che s’è messo di traverso, «se non mi vedono sul palco so già cosa pensano». Perché nulla è cambiato. È lo stesso di sempre. Arguto, sarcastico, pungente. Srotola le battute, guarda se cogli e riparte a raffica. Rivendica quello stato di cane sciolto che non l’ha mai assimilato a «pattuglie organizzate. Non ho reso piaceri perché non ho mai dovuto chiederli. Sono sempre stato eccentrico e atipico». Ma è sulla scena da 44 anni, anche se qualche collega «l’ha preso sottogamba» questo piccolo grande uomo. Lui che conserva intatto quel modo antichissimo di fare spettacolo. «Ho cominciato a sette anni sotto i bombardamenti. A fare cabaret, a intonare canzoni. Per ridere un po’. Oggi faccio lo stesso. Ho cambiato solo le canzoni. Perché i bombardamenti nella vita non sono mai finiti». Dice di non essere un provocatore. «Non voglio risolvere i problemi, ma passare una serata piacevole e non volgare. La differenza con gli altri cabarettisti è che le mie storielle vengono fuori pulite. Può starci la parolaccia, ma deve essere mirata. Anche se allora sarebbero troppi i destinatari». Rivendica l’umorismo genovese come scelta filosofica, «alla Govi». Sono nato in Africa orientale e sono genovese perché..si risparmia». Si racconta da lontano, inattaccabile, fuori da logiche di mercato o di cassetta. Sa già come finirà questa serata: «Dopo il concerto verranno a dirmi che è stato bellissimo. Che non se l’aspettavano. Mentre io mi domanderò che cosa ho fatto per quarantaquattro anni». E poi la frecciata: «D’altra parte le mie case discografiche non mi hanno promosso granchè. Avete mai visto un mio poster in camera d’una ragazza?». Ti disarma con quelle risate a denti stretti da settimana enigmistica. Torna al concerto, che aprirà e chiuderà in genovese con «O frigideiro» e «Se ghe penso».
Canterà i successi di una vita, tutte canzoni prime in classifica o quasi. E in mezzo battute che funzionano. Su quel palco a fare l’entertainer, con amici che arriveranno a sorpresa, con lui che renderà omaggio a colleghi. «Sono stato il primo a farlo. Mi vanto d’essere un cantante e me ne frego d’essere un cantautore».
Lo si potrà ascoltare anche seduti ai tavolini del Nuovo Bar, Il Salotto e Caffetteria Orefici. Ti dice che Il poeta è la sua canzone più bella. «È terribile avere scritto la cosa più bella della tua vita all’inizio».

Era solo il 1961. Ma nulla è cambiato. Ci sarà ancora quel piccolo uomo sotto una cascata di riccioli bianchi a cantare il suo disincanto annegato nell’ironia. E la gente in Piazza Mazzini ad applaudirlo. Come da 44 anni.

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