"L'avanguardia è la condizione essenziale dell'arte. E l'immaginazione non va mai al potere: lo contrasta"

"L'avanguardia è la condizione essenziale dell'arte. E l'immaginazione non va mai al potere: lo contrasta"

Così rivoluzionario da apparire conservatore e così estremista di sinistra «vecchio stampo», precisa lui da avere avuto come grande amico Giano Accame (uno che a 17 anni, il 25 aprile 1945, si arruolò nella Marina militare della Repubblica sociale italiana, venendo arrestato la sera stessa), Pablo Echaurren è pittore, scrittore e fumettaro («però sono trent'anni che non fumetto più..»). Ed è anche il più grande collezionista al mondo di libri e manifesti del Futurismo, che si crede appannaggio della destra, pur restando fedele agli assunti che da giovane gli hanno fatto scegliere la sinistra. «Anche se oggi non li ritrovo nel Pd...». Destra e sinistra, arte e politica. Pablo, a modo suo, ci sopravvive in mezzo da una vita.

Settantaquattro anni, cileno di origine, il padre era il pittore surrealista Roberto Sebastian Matta - ma del quale non vuole parlare -, Pablo Echaurren è romano di nascita e di casa: un bellissimo appartamento, più originale che eccentrico, in Prati, affacciato sul Tevere e pieno di opere d'arte, qui un cuscino di Depero, sulla parete una maschera di Meret Oppenheim, là una tempera di Victor Brauner, un piccolo olio di De Pisis, un manifesto di Prampolini per il film Thaïs di Bragaglia, un quadro che gli regalò Cy Twombly e all'entrata una vetrina con una collezione di ceramiche futuriste: Balla, d'Albisola, Dottori, Diulgheroff... Ma Pablo è anche un avanguardista, come lo fu il Futurismo che ama così tanto («il Futurismo è stato un secondo Rinascimento»). È un crociato della rivoluzione totale, antiborghese e anticonformista, è rimasto un inguaribile dadaista («il surrealismo alla fine ha tradito un po' se stesso, invece il dadaismo è rimasto strafottente, giocoso, beffardo rifiutandosi di salire sul pulpito, come piace anche a me») e da qualche tempo ha elaborato un suo personalissimo culto dell'Uomo di Neanderthal e infatti studia pietre, selci e utensili dei nostri antenati rivendicando con orgoglio e una punta di Dada - «Io non sto con i sapiens, sto coi neanderthal».

Futurismo, Dada, Surrealismo: non appaiono anche quelli dei fossili, ormai?

«Non per me. Di loro continua a interessarmi magari non l'aspetto pittorico ma teorico. Prima di tutto la capacità di trasfigurare e trasformare le cose. L'arte è di tutti e per tutti. È una prerogativa del genere umano; se lo diventa solo di una casta finisce con l'essere qualcosa di alienante».

Mentre le avanguardie...

«... incarnano il principio dell'arte come mezzo per costruire un pensiero e non come un fine. Cosa in cui ho sempre creduto. La mia idea di controcultura è la stessa dei surrealisti o dei dadaisti: uccidere l'arte per farla rivivere nella quotidianità. Invece nell'ultimo mezzo secolo è successo il contrario: l'arte è stata uccisa per trasformarla in merce e l'artista ha scelto di suicidarsi».

Chi è l'artista?

«Non mi piace nessuna definizione di artista. È una parola che pesa. Al liceo avevo una compagna che un giorno in classe disse Mio padre fa il pittore. Io credevo imbiancasse le pareti. Che brutta vita pensai... poi capii che era un artista e la figlia, ma questo non c'entra, la nipote di Iolanda di Savoia... Comunque, la parola artista per me andrebbe cambiata, smitizzata anche. Meglio artigiano. O p-artigiano».

Quando ha voluto diventare un artista?

«Quando negli anni '60 ho iniziato a frequentare Gianfranco Baruchello, che è stato come un padre per me, e senza il quale non avrei mai fatto arte; e poi quando lui mi presentò ad Arturo Schwarz, il mio primo gallerista che nel '72 mi fece un contratto di esclusiva mondiale e che mi portò nel '75 alla Biennale di Parigi. Baruchello è stato un grandissimo artista, che ha avuto un riconoscimento tardivo ma che è andato avanti malgrado tutto: è l'esempio di ciò che si deve fare, e cioè non seguire le onde, le correnti e le mode ma avere una propria precisa visione del mondo e dell'arte. Schwarz invece era uno studioso, un vero intellettuale, oltre che mercante: oggi è un po' dimenticato ma all'epoca era una divinità del mondo dell'arte: lo chiamavano il mangia-uomini perché con la sua personalità ti divorava. Da loro ho imparato quello che mi serviva: a capire i miei limiti e a superarli, a rispondere all'urgenza di dare una forma al tumulto e a non svendersi».

Però cambiando sempre stile: contaminando i generi, indifferente agli steccati, spaziando fra arte e arti applicate, dalla pittura alla ceramica, dall'illustrazione al fumetto...

«Ho seguito due semplici regole. Uno: nell'arte come nella scrittura trovare un ritmo, la storia in sé non mi interessa, mi interessa la musica. Due: cambiare sempre stile. Io ho sempre cambiato stile, io detesto lo stile; lo stile è la fregatura dell'artista. Quando ne acquisisce uno crede di poter affrontare qualunque problema con quello stesso stile, con la stessa mano. Prendi le bottiglie disegnate da Salvador Dalí per il Rosso Antico della Distilleria Buton. Orrende. Ma lui non si vergognava e diceva ecco il punto C'è il mio segno, la mia firma. Invece bisognerebbe trattenersi, anzi astenersi. Altrimenti la deriva è un autocompiacimento mercantile: significa cedere al denaro».

«L'arte non si compra. La si merita». Lo ha scritto Lei. E il suo pamphlet, quasi conservatore, Adotta un artista e convincilo a smettere per il suo bene del 2021 è un j'accuse contro la truffa dell'arte contemporanea.

«È così. L'arte degli artisti contemporanei, dei galleristi, dei collezionisti ha conquistato il mondo a decine di milioni di dollari. Corpus Christie's e Corpus Sotheby's».

La banana di Maurizio Cattelan comprata per 6,2 milioni di dollari?

«Non critico mai l'artista per quello che fa. Non critico l'opera o il gioco che mette in moto. Critico il sistema dell'arte che ha fatto dell'arte una merce. Ce l'ho con la pubblicità. Il diavolo non è quello che ti porta al peccato, ma quello che genera confusione, che inganna».

La sua prima opera di cui resta testimonianza è un paio di jeans dipinti a mano per un suo amico, fotografato al Piper Club nel 1965. E lei aveva 15 anni. Cosa furono gli anni '60?

«Colore, musica, illusione, fantasia. E la voglia di un mondo nuovo. Poi arrivò la rabbia per quello vecchio».

Nel '73 Lei collabora con vari giornali e inizia a fare le copertine per la casa editrice Savelli, tra cui il famoso romanzo sessuo-politico Porci con le ali. Un libro passato alla storia anche grazie alla copertina.

«Vincenzo Innocenti e Dino Audino della casa editrice Savelli me la pagarono 50mila lire. In libri. È un acquarello. Che sappia io, l'originale è appeso a un muro, sarà stinto ormai. Gliel'ho chiesto tante volte, ma non me l'hanno mai dato. Il libro l'invece l'ho letto tanti anni dopo. E non mi è neanche piaciuto».

Nel '77 Lei entra nella redazione di Lotta Continua e poi negli Indiani metropolitani. Cosa furono gli anni '70?

«Da una parte meravigliosi: esisteva una meta, un orizzonte per lottare, per credere. Dall'altra spaventosi: in nome di quelle stesse speranze si sviluppò una violenza che travolse tutto».

E cosa accadde a Pablo Echaurren?

«Che con il rapimento Moro, nel '78, cambiò tutto. Sul Male un giorno apparve la foto di Aldo Moro prigioniero in camicia con il fumetto: Scusate abitualmente vesto Marzotto. Mi scontrai con gli altri. Per loro era satira, io dicevo che non era una foto innocente. Ma come? Siamo contro il carcere e contro la pena di morte e poi facciamo ironia su un detenuto che forse sarà condannato a morte? E mi allontanai dalla politica».

Intanto era accaduto che dentro la sinistra un gruppo ostile aveva diffuso un volantino contro Pablo Echaurren sul quale era scritto: «Da te spira puzzolente l'alito di Marinetti». E in quel momento fare riferimento al poeta futurista era un insulto violentissimo.

«E io invece mi incuriosii e mi avvicinai al Futurismo per approfondirlo. Volevo capire cosa fosse. E un amico, Roberto Palazzi, un grande bibliofilo e libraio, anche lui nel movimento, mi portò a comprare libri e altri documenti futuristi, che in quell'epoca si potevano trovare soprattutto sulle bancarelle. Fu una guida. E il futurismo mi ha fatto capire che si poteva essere contestatori e nello stesso tempo credere nei valori fondativi dell'arte. E da lì iniziai a comprare tutto: libri, manoscritti, riviste, foto, volantini, manifesti...».

Fino a diventare il più grande collezionista conosciuto. Quanti pezzi ha?

«Qualche migliaio. Ma il punto non è ciò che ho, bensì ciò che mi manca. Pochissimo. La mia manco-lista è davvero breve. Possiedo il 98% di ciò che è stato pubblicato dal Futurismo. Sono un completista, se inizio una collezione devo finirla. Ho sempre comprato tutto, a qualsiasi prezzo. E l'unica volta che non l'ho fatto, perché il prezzo di un libro sembrava alto, non l'ho mai più ritrovato. Ho comprato anche cose per nulla affini a me e al mio interesse, persino Canto eroi e macchine della guerra mussoliniana di Marinetti, un libro del '42... Ecco, mi sono fermato solo davanti a Civiltà colonizzatrice tedesca di Gaetano Pattarozzi...».

All'epoca si studiava poco il Futurismo.

«Sì, all'inizio la storia del Futurismo è stata considerata solo da un piccolo gruppo di studiosi e ignorata dalla vulgata scolastica: l'Italia ama le avanguardie, ma i professori di Liceo no. Poi ci si sono messi la sinistra e la destra. Entrambe facendo l'errore di credere all'equazione futurismo uguale fascismo, la prima per demonizzarlo, la seconda per esaltarlo».

Lei e sua moglie, Claudia Salaris, fra le massime storiche del Futurismo invece...

«Abbiamo cercato di liberare il Futurismo dallo stigma del fascismo e valorizzarlo come la prima avanguardia del 900».

E cosa succederà alla collezione Echaurren-Salaris?

«Abbiamo istituito una fondazione. Non cerchiamo di venderla, vogliamo tutelarla. Cerchiamo un ente pubblico che la accolga, ma a due condizioni. La prima è di non dividerla, che rimanga intera, e qui in Italia. Io e Claudia siamo così di sinistra da essere patriottici: deve restare qui. E poi che la collezione diventi il primo nucleo di un museo del Futurismo: la collezione ha un senso se diventa uno strumento di studio del Futurismo e dell'avanguardia».

Cos'è l'avanguardia?

«La condizione essenziale dell'arte, la ricerca di qualche cosa di nuovo. Non sottomesso a quello che la moda e il mercato si aspetterebbero da te».

E l'immaginazione?

«Ciò che contrasta il potere. Si ricorda lo slogan L'immaginazione al potere? È una cazzata. Dove c'è una non c'è l'altro e viceversa».

E il potere?

«Io non l'ho mai cercato. Mi basta il rispetto».

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