Fra tante biografie mancava finora l'inquietante ritratto privato del nostro massimo drammaturgo: Pirandello. Che Filippo Arriva (il lavoro è andato in scena a Catania) ha colmato con lodevole intento didascalico esplorando con illimitata pazienza non solo le testimonianze critiche e storiche sul personaggio ma attingendo in larga misura all'imponente corrispondenza intercorsa tra l'autore di Così è (se vi pare) e la sua interprete prediletta Marta Abba. Reinventando i fatti dall'interno in un'analisi insieme attenta e spregiudicata che non pretende di far luce su episodi controversi impossibili da verificare ma si propone (e spesso ci riesce) di offrircene la poetica decantazione, Arriva costruisce un testo d'andamento a suo modo processuale. Accentrato sulla spaiata trinità formata, come nella pochade del teatro borghese, dal Pirandello suadente e malinconico di Virginio Gazzolo, dalla sua dolente consorte Antonietta (un'ammirevole Mariella Lo Giudice) e soprattutto dalla rivelazione della serata, la Marta romantica e febbrile di Irene Ferri.
In uno spettacolo che soffre dell'inutile accumulo di immagini visive imposto dalla regia, banale ed esteriore, di Walter Pagliaro.
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