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Lazio, Frosinone e Latina vogliono la secessione

E' la vittoria culturale di Bossi: lo spirito autonomista soffia anche sulla Ciociaria e dintorni. Una terra che si è sempre sentita "separata" dall'Urbe. La rivolta fa presa sulla piccola e media impresa, commercianti e artigiani. C'è chi sogna una nuova regione

Lazio, Frosinone e Latina vogliono la secessione

Caffè e sigarette. Il barista guarda, ti saluta e la prima cosa che dice è: «Allora la facciamo la secessione?». Qui un tempo c’era la vecchia Cominium, la roccaforte sannita che non si arrese ai romani. Morirono tutti. Era il 90 avanti Cristo. È da allora che, da queste parti, non si parlava di lasciare Roma al suo destino. Via. L’Urbe da una parte, il Lazio dall’altra. La rivolta è scoppiata in Ciociaria, Latina si è associata, ci sono ribelli anche a Rieti e Viterbo. Tutti accusano Roma di essere un buco nero che mangia tutte le risorse e lascia alle province briciole, poco o nulla. Roma ladrona. Roma egocentrica. Roma potere. Roma che soffoca il Lazio, come se fosse una terra senza storia, un contorno indistinto, una terra di mezzo, una costellazione di paesi e cittadine tra la capitale e Napoli, tra la grassa e avida lupa e il Nord. Roma che non rappresenta. Roma che toglie identità.

Questo spirito «leghista» non arriva all’improvviso. È la vittoria culturale di Bossi. La si può giudicare bene o male, ma c’è. Il Lazio si sente soffocato da Roma. È una questione d’identità. È potere e affari. Roma è Roma. Il resto viene offuscato. Tutte le strade portano a Roma, anche quelle del turismo e qui non passa nessuno. Senti albergatori e commercianti dire che se Arpino, Montecassino, Anagni, l’Etruria, Fiuggi, le architetture razionaliste pontine, Fossanova e Baia Domizia fossero state in un’altra regione, lontano dall’Urbe, sarebbe stato diverso. Qui non si può fare marketing territoriale perché Roma cancella il resto. Qui sono nati Cicerone, Caio Mario, Tommaso d’Aquino, Attilio Regolo, Landolfi, De Sica, Mastroianni, Manfredi, la Lollobrigida e pochi se lo ricordano. E poi Roma, con i suoi ministeri, drena risorse. È la capitale senza più impero di una regione senza identità. Ecco da dove nasce questo leghismo atipico, questa voglia di secessione, questa rivolta che fa presa soprattutto sulla piccola e media impresa, su commercianti e artigiani, questo rottura con il passato, che in Ciociaria significa Andreotti. La Ciociaria si sente dimenticata e sfidare Roma è un atto di orgoglio. Non era stato in fondo il professor Miglio a indicare Frosinone come capitale dello stato federale del Centro? Provocatorio e profetico.

Il casus belli in fondo è sempre lo stesso. La Polverini non ha messo in giunta neppure un ciociaro. Delusione. «Noi ti abbiamo fatto vincere e tu ci snobbi». I malumori già c’erano. Lo sgarbo ha fatto il resto. Antonello Iannarilli, presidente pidiellino della provincia, ha cominciato a parlare di secessione, di una nuova regione, la ventunesima, che qui ormai sillabano come se fosse una legione, con lo stesso orgoglio. Qualcuno pensa all’America: Roma come il distretto di Washington. C’è chi fa sul serio. Chi alza la voce. Chi pensa che tutto questo servirà a ottenere qualche poltrona in più. C’è chi dice che Roma e Lazio sono due cose diverse e non possono stare insieme. C’è chi è stufo di sentirsi chiamare burino. C’è chi sogna un cielo biancazzurro e chi non vuole lasciare la capitale ai romanisti. C’è chi pensa che tutto questo è già avvenuto ed è finita male.

La seconda guerra sociale, appunto. I germani sconfitti da Caio Mario lassù sulle Alpi. Chi c’è nel suo esercito? Marsi, Peligni, Piceni, Vestini, Marrucini, Frentani, Sanniti, Apuli, Campani e Bruzi. Sono loro gli eroi di quella campagna. Sono loro che salvano Roma dai barbari. Mario, il console, il generale, è di Arpino. È uno di loro. Rispetterà i patti? No, decisamente no. Le ragioni degli italici sono chiare: noi combattiamo per Roma, ma vogliamo la cittadinanza. È quello che chiede l’aristocratico romano Marco Livio Druso. Ma viene ucciso. Gli optimati non vogliono. Mario tergiversa e dimentica le sue origini. E si arriva alla guerra. Una guerra assurda. Roma vincerà, ma gli italici otterranno comunque la cittadinanza. Resteranno i morti, l’eroismo di Caio Papio Mutilo e Quinto Pompedio Silone, Corfinium capitale di una stagione ribelle e monete con il toro italico che carica la lupa romana.

Bossi ha dovuto inventarsi la Padania, i celti e il dio Po. I ribelli laziali non hanno neppure bisogno di tanta fantasia. La storia ha già lavorato per loro. Basta prendere. E le secessioni hanno bisogno di leggende e di simboli. Magari Roma vincerà, ma almeno il Lazio ritroverà la sua storia. Iannarilli sta già preparando il referendum. E come capitale ha scelto l’abbazia di Fossanova, lì dove morì l’Aquinate, mentre spiegava il Cantico dei cantici ai monaci cistercensi.

I lumbard hanno il Carroccio, i ciociari la Summa Teologica.

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