Roma

Lazio-Inter, un proiettile per Lotito

«Se domenica non battete l’Inter sei morto». Si tinge di nero la partita della vergogna, quella che domenica sera all’Olimpico ha visto la Lazio inchinarsi all’Inter cancellando di fatto il sogno scudetto della Roma. Ieri il presidente dei biancocelesti si è visto recapitare con qualche ora di ritardo una lettera minatoria con un proiettile e il messaggio sopra riportato, naturalmente anonimo. La lettera, scritta e spedita la scorsa settimana, nelle intenzioni di chi l’ha concepita e redatta - presumibilmente un tifoso, si fa per dire, della Roma - sarebbe dovuta arrivare prima della partita di domenica sera, ma il ponte del Primo maggio ha fatto slittare a ieri il «c’è posta per te». Lotito si è subito recato alla Digos per denunciare l’assurda vicenda.
Che Roma sia una città malata terminale di calcio si sapeva. Ma che la metastasi raggiungesse questo punto di degenerazione nessuno se lo sarebbe mai immaginato. Per chi ha ancora negli occhi lo spettacolo dei tifosi biancocelesti esultanti ai gol dell’Inter la notizia della lettera minatoria a Lotito è solo una triste conferma. Il presidente biancoceleste, abituato a essere bersagliato di critiche e minacce anche dalle frange più estreme dei suoi stessi tifosi, è un fiume in piena e si toglie non un sassolino, ma un masso dalla scarpa. I suoi messaggi, tutt’altro che anonimi, hanno un destinatario ben preciso: «Abbiamo più volte ribadito - attacca Lotito - la necessità che l’antagonismo sportivo rimanesse nei confini della dialettica civile, senza mai debordare in violenza verbale o fisica e senza offendere la dignità dell’avversario: invece abbiamo assistito a manifestazioni, specie in occasione dell’ultimo derby, che hanno profondamente ferito la tifoseria laziale e che hanno generato un clima di istigazione alla violenza che si è protratto per tutta la settimana». Insomma, la colpa è del doppio pollice verso di Totti, ingigantito dall’ossessività dell’ambiente. «Ci si è poi lasciati andare a vere e proprie minacce fisiche sia ai calciatori che al presidente e ai dirigenti della Lazio, creando un clima di tensione che ha profondamente danneggiato l’immagine dello sport nella capitale e nel paese». Ma Lotito in fondo non si sorprende più di tanto. «Stupisce, invece, che l’insulto e l’istigazione siano diventati bagaglio espressivo di dirigenti di altre società. Riteniamo che il ruolo rivestito nel mondo del calcio debba costituire, sempre e comunque, un freno alla passione di parte e debba sempre prevalere, nel dirigente responsabile, il senso dell’istituzione e dell’esempio che le sue parole danno alla gente. A chi tale responsabilità non ha avvertito diciamo che la Lazio e i suoi tifosi non accettano insulti, palesi o insinuati; che la sportività e lealtà della Lazio e dei suoi giocatori non può essere messa in dubbio da nessuno; che chi ha alimentato la tensione con comportamenti antisportivi e violenti non ha alcuna veste per impartire giudizi o lezioni di sportività». Poi una bacchettata ai politici che in queste ore si sono affrettati a condannare il comportamento dei suoi giocatori e dei suoi tifosi: «La Lazio ricorda che la contesa sportiva non vuole invasioni di campo, da qualunque parte provengano; piuttosto la politica dovrebbe darsi carico di intervenire sugli aspetti collaterali allo sport, dando alle società gli strumenti giuridici per garantire l’ordine a chi assiste alle partite, alle forze dell’ordine la possibilità di controllare i violenti e isolarli, al giudice il potere di rendere effettivo il suo intervento dissuasivo nei confronti di chi va allo stadio solo per creare disordine».

Insomma, Lotito non ci sta a salire sul banco degli accusati: «La Lazio non deve chiedere scusa a nessuno; deve piuttosto ricevere le scuse da parte di chi, ignorando le proprie responsabilità, ha lanciato sugli altri colpe inesistenti».
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