La Lega alla Camera «sfratta» il governo Maroni: «Malmenati»

Bagarre a Montecitorio per la protesta del Carroccio che chiede elezioni

La Lega alla Camera «sfratta» il governo Maroni: «Malmenati»

da Roma

Più che di fuoco, s’annunciava come un mezzogiorno di cuoco, quello di ieri alla Camera. Mattinata pigra e sonnacchiosa, gran sfogliar di giornali sui banchi mentre si sgranavano i pistolotti sul provvedimento delle professioni sanitarie. All’improvviso, un brusio frenetico s’è acceso tra i banchi della Lega. I deputati del Carroccio al completo hanno preso ad agitare la Padania col titolone che recitava «Fuori dalle balle», gridando «elezioni, elezioni!». La giovane Giorgia Meloni che presiedeva è rimasta anch’ella attonita e sorpresa, mentre i leghisti scendevano nell’emiciclo e s’arrampicavano sui banchi del governo, sempre sventolando quel «fuori dalle balle» e invocando le elezioni. S’è scatenato un putiferio. La Meloni scampanellava, i commessi come paralizzati, dai banchi della maggioranza volavano giornali accartocciati, atti parlamentari, insulti, urla e strepiti prontamente ricambiati dal manipolo leghista. Montecitorio era una bolgia, l’epiteto meno offensivo che rimbalzava era quello di «fascisti!» o «golpisti», nell’emiciclo eran lì lì per venire alle mani, si son smosse anche le sedie già lestamente abbandonate dagli stenografi.
Una bagarre come ai bei tempi del cappio, nella miglior tradizione della Lega «di lotta e d’opposizione», che s’è conclusa con la sospensione della seduta, tutti fuori meno la Lega rimasta a okkupare l’aula. «Siamo andati verso i banchi del governo per invitarlo a dimettersi, la nostra era una manifestazione pacifica» ha poi difeso il vicecapogruppo Roberto Cota, «e invece siamo stati aggrediti da alcuni del centrosinistra come Marco Boato ed Enrico Buemi. Siamo stati insultati e strattonati». Pare che il deputato verde abbia gridato ai commessi «o ci pensate voi o provvediamo noi», ma è arduo immaginarlo nei panni del violento. Come il mite socialista piemontese, del resto. Ma la miglior difesa è l’attacco, no? E probabilmente la Lega si prepara ora all’Ufficio di presidenza convocato martedì 19 «per le determinazioni del caso», come ha annunciato la Meloni alla ripresa dei lavori stigmatizzando la manifestazione «senza precedenti» e «del tutto inaccettabile». La vicepresidente nella pausa s’è sentita con Bertinotti in Russia, che prontamente ha dettato alle agenzie: «Le decisioni che lei ha preso sono le mie».
Va be’, la Lega s’è inventata un gesto provocatorio per andare sulle prime pagine degli altri giornali, oltre la Padania, e per far cassa di risonanza a Umberto Bossi e Silvio Berlusconi che appunto vogliono salire al Quirinale per chiedere le elezioni anticipate. Gli alleati però, non l’hanno presa bene. Pier Ferdinando Casini lancia l’anatema: «Se si vuole aiutare Prodi, se si vuole dare al suo governo un ricostituente insperato, basta assumere gli atteggiamenti della Lega che ha occupato l’aula». Un «atteggiamento irresponsabile», bolla il leader dell’Udc auspicando che «sia Berlusconi che Fini vorranno condannare questo atteggiamento». La dissociazione di An è giunta netta all’accendersi del parapiglia, perché Ignazio La Russa ha fatto uscire i suoi dall’aula, esprimendo «piena solidarietà» alla Meloni e spiegando che «la degenerazione è stata il frutto di una convergenza di errori: da un lato i deputati della sinistra hanno fatto pressioni sui leghisti, sostituendosi a quello che dovevano fare i questori e i commessi, dall’altro la Lega avrebbe fatto bene a non rispondere alle provocazioni». Secco il capogruppo di Forza Italia, Elio Vito: «Condanniamo il comportamento della Lega ed è giusto che l’ufficio di presidenza prenda le sanzioni che ritiene più appropriate».
Con qualche se, perché tanto Vito quanto La Russa invitano a «non sottovalutare quanto sta accadendo» a causa del centrosinistra che «non prende atto di non essere maggioranza nel Paese, occupando tutte le cariche istituzionali».

Centrosinistra che ovviamente preferisce sparar sulla Lega, come avesse stuprato e profanato Montecitorio. «Una voragine democratica» gridano, «un’offesa al Parlamento» lamentano, «si ritorna a Licio Gelli» avvertono. Oltre alla condanna del «comportamento eversivo», ovviamente.

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