È una Lega coraggiosa ma incosciente quella che correrà da sola alle elezioni amministrative di primavera. Umberto Bossi ha sfidato non il Paese, ma il Pdl. La galoppata del Carroccio intende soprattutto sfibrare il vecchio alleato di governo e di innumerevoli giunte locali, a cominciare da quelle regionali in Piemonte, Lombardia, Veneto che comunque restano in piedi.
Battaglia solitaria, di bandiera, ma probabilmente destinata a un magro risultato nelle urne. Oggi i lumbàrd da soli governano in pochissimi comuni sopra i 15mila abitanti, e a questo magro bottino è indispensabile lappoggio del partito di Berlusconi e Alfano. La decisione leghista di abbandonare il vecchio tracciato e procedere parallelamente al Pdl servirà a marcare le distanze prese di recente, ma quasi certamente toglierà a Bossi un po di sindaci in carica.
Il test del 6 e 7 maggio è significativo per la Lega. Si vota in 1.035 comuni di cui 340 un terzo - nella cosiddetta Padania: 126 in Lombardia, 86 in Veneto, 84 in Piemonte, 26 in Friuli-Venezia Giulia, 18 in Emilia Romagna. Di queste amministrazioni, 39 sono guidate da sindaci in camicia verde. Ma i test più significativi riguardano le Province e i Comuni in cui si può andare al ballottaggio. Qui non si presentano soltanto liste civiche multicolori e trasversali, ma scendono in campo i partiti e le coalizioni. Ed è qui che bisogna concentrare lattenzione per capire lautogol verso il quale Bossi e Maroni sembrano avviati.
Oggi la Lega guida 13 grandi Comuni e tre amministrazioni provinciali (Como, Vicenza, Belluno) dove si vota. Tranne casi rari, sono giunte basate su una coalizione che comprende Forza Italia, Alleanza nazionale e lUdc: nel 2007, anno della precedente tornata elettorale, non si era ancora consumata la rottura con il partito di Casini e tantomeno con la pattuglia del Fli. A Como Leonardo Carioni fu eletto al primo turno con il 67,8 per cento, ma Forza Italia aveva il 32,8 e la Lega il 19,1. Stesso schema a Vicenza, dove Attilio Schneck raccolse il 59,9, con gli azzurri al 27,7 e i padani al 19.
Cinque anni fa nelle fortezze nordiste la Lega veleggiava dunque attorno al 20 per cento. Clamoroso il caso di Verona, che viene dipinta come la città più leghista dItalia. Flavio Tosi fu eletto al primo turno con il 60,7 per cento, ma il primo partito della coalizione era la sua lista personale (16,4), quella che oggi Bossi e il «cerchio magico» non vogliono neppure sentire nominare perché calamita molti voti moderati. Al secondo posto seguiva Forza Italia (15,1), poi Alleanza nazionale (13) e infine la Lega (12 per cento). È per questo che Tosi insiste a voler ripresentare la lista con il suo nome: sa bene che, pur essendo molto popolare a Verona, se corre da solo la vittoria è molto a rischio.
La linea solitaria decisa da Bossi è stata applicata senza eccezioni e con convinzione. I sindaci che potevano svolgere un secondo mandato sono stati ricandidati, come lo stesso Tosi, Marco Mariani a Monza, Maria Rita Busetti a Thiene, Fabrizio Zerman a San Giovanni Lupatoto, Giorgio Taveggia a Meda: per lui sarebbe il quarto mandato, essendo stato eletto la prima volta nel 1992. Vengono anche schierati nomi «pesanti» di parlamentari: a Cantù correrà lonorevole Nicola Molteni e a Crema lonorevole Alberto Torrazzi. Ovviamente pronti a rinunciare al seggio romano per dedicarsi al territorio.
Il vero traguardo della Lega è arrivare ai ballottaggi, dove entrano in gioco le alchimie delle alleanze di cui il Carroccio è spregiudicato maestro, come dimostrano alcuni episodi di cinque anni fa. Busetti, Taveggia e Zerman, presentatisi da soli, furono eletti al secondo turno. I primi due partivano svantaggiati contro il candidato di Forza Italia-An-Udc e rimontarono grazie ai voti della sinistra (che ha sempre preferito un leghista a un berlusconiano). Il terzo invece imbarcò subito An e Udc e soltanto al secondo turno Forza Italia, il cui candidato fece una corsa isolata finendo malinconicamente terzo.
È lo stesso rischio che corre oggi Bossi: esibire muscoli e orgoglio ma mancare il bersaglio che conta. Per questo Ignazio La Russa, coordinatore nazionale del Pdl, ostenta sicurezza: «Se vogliono correre da soli ce ne possiamo fare una ragione».
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