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«La Lega non ha nulla da celebrare Tra poco otterremo il federalismo»

MilanoUna festa senza niente da festeggiare. Ecco i 150 anni dell’Unità d’Italia visti col cannocchiale della Lega. Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione, semplifica anche questa volta: «Non so se ci sarò allo scoglio di Quarto. E non so se ci saranno i leghisti. Di certo io sarò a lavorare». Da Quarto il 5 maggio 1860 partirono i Mille a Quarto oggi il Presidente Giorgio Napolitano darà il via ufficiale alle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Molti, soprattutto a sinistra, s’indignano e leggono le parole di Calderoli come una profanazione, uno sfregio alla lapide della nostra storia, un’offesa al Risorgimento. Ma Stefano Bruno Galli, intellettuale di area leghista, studioso del federalismo e professore di Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano, condivide il disincanto di Calderoli.
Perché, professor Galli?
«Vede, io ragiono da storico».
Dunque?
«Nel 1911, per i cinquant’anni dell’Unità, c’era un’idea guida, l’avvento dell’industria pesante e i progressi economici e sociali. Anche nel 1961 c’era un pensiero forte, la ricostruzione e il boom economico. Ci furono mostre, dibattiti e discussioni. Fervore. Creatività. Ottimismo. Il Paese celebrava se stesso e il proprio sviluppo».
Oggi?
«Oggi un’idea guida non c’è. Il Paese non si ritrova in un progetto, c’è solo la ricorrenza anagrafica».
Meglio ammainare la bandiera della festa?
«Ci vuole sobrietà».
Non c’è proprio nulla da festeggiare?
«Forse il Paese che verrà».
E che oggi non c’è?
«Sì. In prospettiva ci auguriamo che questo Paese venga rimodellato con il federalismo. Ecco perché dobbiamo guardare in avanti. Il federalismo è l’idea forte, ma per realizzarlo pienamente ci vorrà qualche anno. Oggi non ci sono grandi ragioni, a parte il dato anagrafico, per una standing ovation corale. Del resto il Comitato per i 150 anni dell’Unità che ha fatto?».
Che ha fatto?
«Ha progettato qualche opera pubblica, qua e là, piste ciclabili e aeroporti, parchi e auditorium, polemiche col contorno di malumore».
Alcuni dei membri si sono dimessi.
«Appunto. È il segno che si procede a tentoni».
Appunto. Non è il segno che la Lega torna a scagliare l’anatema?
«Ma no, fra qualche anno celebreremo, magari in pompa magna, il federalismo realizzato. Siamo entrati nella fase, delicata, in cui la norma prende corpo attraverso i decreti attuativi».
Dica la verità: sotto sotto la Lega è rimasta secessionista. Via da Roma ladrona?
«No no, la Lega è maturata. Non vuole più fare a pezzi l’Italia. Del resto nell’arco di un quindicennio è cambiata, si è evoluta, ha fatto un percorso. Una lunga marcia, potremmo dire parafrasando Mao».
E allora?
«La Lega non è più un partito di protesta, ma di governo. Cambia la sua classe dirigente, cambia anche il suo pubblico, cambia chi la vota. Una formazione che supera stabilmente il 10 per cento non rappresenta più solo chi protesta, raccoglie anche consenso per il suo grande progetto federale».
Quindi la Lega si adegua, annacqua le vecchie tematiche rivoluzionarie, butta via l’armamentario ideologico?
«No, se prendiamo gli studi più avanzati, per esempio quelli di un sociologo come Luca Ricolfi, vediamo che la grande frattura non è più solo fra Nord e Sud».
E qual è allora?
«I guai arrivano dagli sprechi della pubblica amministrazione e dall’evasione fiscale. Dobbiamo combattere contro questi due nemici. E mi permetto di far notare che l’evasione c’è anche al Nord, così come gli sprechi. Ci vuole una robusta iniezione di virtù civiche: gli italiani bisogna ancora farli, per citare D’Azeglio».
Il resto?
«Il resto conta fino a un certo punto. Ma dobbiamo stare attenti perché la socialità potrebbe saltare. Chi paga è infuriato con chi non paga e soprattutto con lo Stato che tollera questa disparità. Il federalismo è lo strumento per rifondare l’Italia. E prepararci ad una festa vera.

Magari per i 160 dell’Unità».

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