Politica

La Lega non scarica il Governatore «Ma l’ultima parola è del premier»

Vertice ad Arcore con il Carroccio. Berlusconi: su Bankitalia il governo non ha gli strumenti per fare più nulla. Calderoli: pronti a discutere testo Udc sulla legge elettorale

Adalberto Signore

da Roma

Un’altra cena ad Arcore nel giro di soli otto giorni, sempre di martedì sera e sempre con lo stesso menù: tentare la difficile mediazione con la Lega sulla questione Bankitalia. A villa San Martino ci sono Umberto Bossi, il primo ad arrivare accompagnato dal figlio Renzo, i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni e gran parte dello stato maggiore del Carroccio (Roberto Cota, Stefano Stefani, Giancarlo Giorgetti, Rosy Mauro e Alessandro Cè). E sono presenti anche il vicepremier Giulio Tremonti e il sottosegretario Aldo Brancher.
Le posizioni sono chiare. A via Bellerio non sono andati giù i retroscena letti ieri sui giornali, articoli secondo i quali il Carroccio avrebbe abbandonato Antonio Fazio al suo destino. Perché - dice più di un dirigente leghista in mattinata - «la nostra posizione non è cambiata di una virgola e cercare di far passare l’idea che il Consiglio federale ha lasciato da solo Maroni non solo è vergognoso ma è soprattutto falso». Ed è proprio lui, il ministro del Welfare, quello che meno ha gradito la lettura mattutina dei quotidiani, «uno in particolare». E così, non è un caso che verso l’ora di pranzo sia il Senatùr in persona a mettere nero su bianco la linea della Lega. «Delle interpretazioni di alcuni giornali, interessate o no, non so cosa farmene. Sulla questione Banca d’Italia - dice Bossi all’Ansa - abbiamo una posizione precisa che è emersa nel Consiglio federale».
E la linea, esposta proprio da Maroni durante la riunione di lunedì, è sostanzialmente quella delle ultime settimane: «Non tanto la difesa di Fazio, quanto una netta presa di distanze da chi ne chiede la testa». Una sfumatura, certo. Che però Bossi ha illustrato a Berlusconi con decisione: «Se mandi a casa Fazio - è l’avvertimento del Senatùr - la dai vinta ai poteri forti, quelli politici e quelli economici, che ne chiedono la defenestrazione. E così non solo spiani la strada a certe operazioni finanziarie ma ne stoppi altre». Con una postilla: dopo Fazio, chiederanno la tua testa. È questo che vuole chi pensa di rimettere in piedi il grande centro.
Nonostante le garanzie ottenute sul progetto della grande banca del Nord «che non deve essere abbandonato» (l’acquisizione dell’Antonveneta da parte della Bpi di Gianpaolo Fiorani va proprio in questa direzione) la posizione della Lega sulla querelle Bankitalia non cambia. Certo, un ammorbidimento c’è stato. Perché Bossi ha formalmente rimesso nelle mani del premier ogni decisione. «Questa è la nostra posizione - spiega il Senatùr - poi la scelta finale spetta a te». D’accordo anche Berlusconi: la verità è che il governo non ha gli strumenti tecnici per fare più nulla, abbiamo fatto il possibile, oltre non si può andare. E comunque - dice il premier a Bossi - «non pensare che in queste condizioni Fazio possa davvero dare una mano al progetto della banca del Nord impedendo agli olandesi di Abn Amro di acquisire Antonveneta». Posizione, quella del governo, confermata da Calderoli: «Su Bankitalia - dice il ministro all’uscita dal vertice - si è convenuto che la situazione è quella che è stata definita venerdì (quando è stata approvata la riforma, ndr). Il ruolo del governo è esaurito. Altre iniziative - aggiunge il ministro - metterebbero a rischio l'indipendenza della Banca d'Italia». Il Quirinale, intanto, sta alla finestra. Carlo Azeglio Ciampi è «amareggiato» per la situazione e - nonostante ad agosto avesse proposto al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta l’autosospensione del governatore - oggi si limita ad aspettare l’evolversi delle cose.
Ma non c’è solo Bankitalia nel menù di villa San Martino. Bossi e Berlusconi parlano pure di legge elettorale, sulla quale la Lega «è disponibile a dialogare». Tanto che a fine vertice, Calderoli precisa: «Credo che ci sarà un incontro tra Follini e Bondi ed è stato assunto l'impegno che non appena arriva il testo ci lavoreremo sopra». Per Bossi e compagni un aumento della quota proporzionale non è un problema «purché non si leghi il dibattito in commissione Affari costituzionali della Camera al via libera alla devoluzione. Sono due questioni diverse, sul federalismo c’è un impegno con gli elettori, sulla legge elettorale no. E poi sulla riforma federalista - dice Bossi - l’accordo già c’è. E per farlo rispettare siamo pronti a fare le barricate». Ma sul tavolo ci sono anche i rapporti con l’Udc: «Vediamo dove vogliono arrivare - concordano premier e Senatúr -, ma la pazienza ha un limite». Come annunciato lunedì, poi, il Senatùr fa pure presente a Berlusconi la necessità che si faccia carico di porre formalmente in sede europea «il problema dei mercati asiatici» che stanno mettendo in ginocchio «soprattutto il tessile e il calzaturiero». Capitolo a parte lo scontro tra Roberto Formigoni e Alessandro Cè, l’assessore leghista «sospeso» dalle funzioni dal governatore della Lombardia. Bossi è intenzionato a risolvere la questione senza troppo clamore.

Della cosa, probabilmente, Berlusconi e il Senatùr riparleranno in settimana.

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