La Lega è più che mai dattualità. Lo dimostra la recente uscita in contemporanea di due libri a quattro mani («Razza padana» di Adalberto Signore e Alessandro Trocino, «Romanzo padano» di David Parenzo e Davide Romano) che del fenomeno leghista vogliono spiegare il passato e pronosticare il futuro. Lo fanno da due osservatori diversi: quello politico romano per la «Razza padana» - di cui ci siamo ripetutamente occupati su queste colonne - quello lumbard per il «Romanzo padano». David Parenzo è a Telelombardia - appunto - il conduttore di Iceberg, trasmissione ideata da un bravo giornalista prematuramente scomparso: Daniele Vimercati che del movimento di Bossi fu insieme il cronista e lo storico.
Nella conclusione del loro saggio Parenzo e Romano enunciano una tesi ardita. «La Lega Nord è oggi, nei fatti, al centro dello schieramento politico. È un centro diverso da quello cui eravamo abituati, fatto da pacati notabili sempre pronti a mediare. Questo della Lega è invece un elettorato di centro ma radicale, che dopo anni di politica inerte ha perso la pazienza. Per questo è intransigente, come per altri versi lo sono anche i seguaci dellaltro centrista radicale Di Pietro, nel centro-sinistra». Di centro il partito del pittoresco europarlamentare Mario Borghezio, dagli avversari descritto come razzista impenitente?
Sembra impossibile, ma in Italia nulla è più possibile dellimpossibile. E del resto la Lega è un viluppo di contraddizioni: non solo per i «ribaltoni», ma per la capacità di sovvertire i più consolidati luoghi comuni. Siamo nellera dellonnipotenza televisiva, e i nemici di Berlusconi attribuiscono al suo dominio mediatico le fortune elettorali di Forza Italia. Eppure la Lega si è affermata, a suo tempo, non per la televisione ma contro la televisione, non per i favori della stampa ma contro la stampa: è cresciuta impetuosamente quando dagli schermi e dalle pagine dei quotidiani non le era rovesciato addosso altro che critiche o contumelie. Il che dimostra a mio avviso come la televisione possa accompagnare e ingrandire un consenso già esistente, non crearlo.
Umberto Bossi, fiaccato dalla malattia ma non domo, ha portato a casa il federalismo fiscale, dopo aver combattuto una «battaglia contro lo Stato allinterno delle istituzioni democratiche». Viene assicurato, dai leghisti più autorevoli, che la riforma sarà a costo zero. Non avverrà unennesima volta, giurano, che la devoluzione si traduca in una duplicazione, e che la periferia si munisca di costose strutture burocratiche senza che lamministrazione centrale abolisca o snellisca le sue. Ogni cessione di competenze e di personale a enti locali sè sempre risolta in un costo altissimo, altro che costo zero. Su questo, e sulle misure approntate per evitare che si ripeta, le risposte della Lega - e anche del governo Berlusconi - mi sembrano tutto fuorché convincenti.
Un lettore attento, Carlo Buscaglino Strambio che fu alto magistrato, si chiede se sia opportuno procedere a una riforma epocale come la federalista basandosi solo sul sì e sul no, senza un sistema giuridico dal quale attingere indicazioni. Più terra-terra io vorrei dai federalisti - cui volentieri mi associo in linea di principio - più precise e rassicuranti informazioni sui costi e sui conti della riforma, visti i precedenti.
La Lega? È il nuovo centro radicale della politica
Bossi rappresenta chi ha perso la pazienza. Ma ora dimostri che il federalismo fiscale non costerà allo Stato
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