Roma - Non solo negli uffici della presidenza del gruppo Pdl alla Camera ma anche a Palazzo Grazioli la notizia dell’affondo della Lega su Fini arriva solo una manciata di minuti prima che le agenzie annuncino l’imminente conferenza stampa del presidente dei deputati del Carroccio Reguzzoni. Più per una forma di «cortesia istituzionale», dunque, che per concordare una linea comune. Una decisa accelerazione in un momento in cui Berlusconi avrebbe forse preferito la sordina così da non dare spunti polemici non solo a Fini ma anche a Casini. Al momento, infatti, la trattativa con l’Udc sembra l’unica possibilità di scongiurare delle elezioni anticipate che nessuno vuole, Cavaliere compreso. Dichiarazioni pubbliche a parte, i numeri della maggioranza continuano ad essere risicatissimi tanto che ieri il ministro Vito ha bersagliato di telefonate le segreterie dei suoi colleghi di governo invitandoli a cancellare gli appuntamenti in agenda per non mancare al voto sulla sfiducia a Calderoli. Insomma, è chiaro che così non si va lontano.
Ed è di questo che si discute per quasi un ora nella riunione a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e i vertici della Lega. Con il premier e Bossi (accompagnato da Maroni, Calderoli, Reguzzoni, Mauro, Giorgetti e Cota) che sostanzialmente rinviano ogni decisione all’anno nuovo. Si proverà la via dell’allargamento della maggioranza (come chiede il Cavaliere) e a metà gennaio si tireranno le somme ma se non ci saranno le condizioni per governare si andrà al voto (come chiede il Carroccio). E nel frattempo - è la raccomandazione del premier - evitiamo di aprire altri fronti. Già, perché il timore di Berlusconi e che nella Lega si stia giocando una partita che rischia di condizionare anche la trattativa in corso con i centristi e magari le sorti della legislatura. L’asse con Bossi non è infatti mai stato in discussione, mentre i rapporti con altri leghisti di peso (Maroni, ma anche Calderoli) non sono più gli stessi da quando Brancher è stato costretto ad un passo indietro dopo le dimissioni da ministro. A parte il canale privilegiato tra Cavaliere e Senatùr, infatti, l’unica interfaccia tra Pdl e Lega resta Tremonti.
La preoccupazione che si fa strada tra i big di via dell’Umiltà, insomma, è che nel Carroccio si stiano contrapponendo due linee: la prima che fa capo a Bossi, la seconda più «di lotta» su cui spingerebbero i due colonnelli. In questo senso, non passa inosservata una frase piuttosto sibillina del Senatùr: «Volete sapere se le elezioni anticipate sono scongiurate? Chiedete a Maroni, è lui il capo...». Una battuta che ci può stare, visto che è il Viminale a decidere la data delle elezioni, ma che qualcuno non manca di interpretare con una certa malizia.
Nella Lega, insomma, c’è chi da tempo spinge per tornare alle urne al più presto (cosa di cui è convinto anche Tremonti). Ed è chiaro che l’affondo su Fini non fa che rendere più difficile il dialogo con Casini. Sia perché spinge il leader centrista sulla difensiva, sia perché è un modo per far capire all’Udc che un’eventuale convivenza con la Lega non sarà certo «rosa e fiori». Ma l’interesse del Carroccio ad accelerare sulle dimissioni di Fini sarebbe anche un altro, visto che da qualche giorno si fa il nome di Maroni come possibile successore sullo scranno più alto di Montecitorio qualora l’ex leader di An capitoli davvero. Una poltrona su cui il Cavaliere vedrebbe decisamente meglio Lupi.
Una partita complessa, dunque.
Con sullo sfondo il caso Prestigiacomo che infastidisce non poco Berlusconi («ha scelto il momento sbagliato e se decide di andare avanti allora lasci anche il ministero», confida in privato) e l’ombra delle urne. Tanto che il Cavaliere continua a ragionare sul restyling del Pdl. Due pare che siano le «candidature» più forti per il nuovo nome del partito: «Italia» o «Libertà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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