La legge elettorale e le intimidazioni del Pd

Con un’intervista al Sole-24 ore venerdì scorso, Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, ha avanzato questa singolare tesi: le prossime Camere se si andasse a votare con la legge elettorale in vigore, sarebbero illegittime. «Quella legge - ha affermato - è una bomba a tempo innescata sotto il Parlamento».
È una tesi paradossale, sostenuta, è evidente, a scopi dilatori in presenza di una possibile implacabilità di elezioni anticipate. La Finocchiaro si aggrappa al fatto che la Corte costituzionale, nel dare il via libera al referendum, segnala genericamente che nelle norme vigenti ci sono «aspetti problematici» (sic), il che farebbe presumere che sia possibile contestarne la costituzionalità.
La senatrice del Pd ne deduce quindi che la locuzione usata dalla Corte rende urgente una nuova legge elettorale. «Se andassimo a votare con l’attuale legge o con il testo uscito dal referendum - sostiene - ci troveremmo di fronte a Camere elette in base a regole su cui grava un pesante sospetto di legittimità costituzionale». Aggiunge: «Se venisse presentato un ricorso è probabile che la Corte dichiarerebbe incostituzionale la legge. E la conseguenza sarebbe la fine della legislatura».
Siamo a una sorta di intimidazione politico-giuridica che non ha precedenti. Ma come, la legge che si vuole incostituzionale non è la stessa che ha dato la vittoria alle sinistre nel 2006? Come mai non se ne invocò allora l’illegittimità? Quella legge, per brutta che sia, fu approvata con tutti i crismi dalle due Camere ed è stata promulgata dal presidente della Repubblica, che la contestò solo perché non rispettava il principio costituzionale (art. 57) che l’elezione del Senato avvenga su base regionale (difetto che venne corretto). Né la corte costituzionale fece mai sentire il suo dissenso, a quanto risulta, al capo dello Stato.
Ora sostenendo impropriamente la possibilità di un ricorso più o meno prossimo, la Finocchiaro sembra volere stimolare l’alta Corte a compiere un atto risolutivo, che sarebbe, ammesso che sia possibile, una grande forzatura che la Consulta non potrebbe compiere senza considerarne preventivamente le conseguenze devastanti in caso di una decisione a Camere elette e funzionanti.
È elementare che la funzione legislativa, come recita l’articolo 70 della Costituzione, spetti alle Camere, deputate persino (art. 138) a rivedere le norme costituzionali, ed è quindi pacifico che a esse soltanto competa l’impugnazione di una legge elettorale. Esistono, tra l’altro, nelle due Camere le Giunte delle elezioni e, guarda caso, proprio quella del Senato ha respinto, anche col voto di due senatori della sinistra, le eccezioni sollevate sulla legge in vigore.
Insomma, non ci sono davvero motivi che giustifichino la temeraria tesi della senatrice Finocchiaro. Un’offesa alla Costituzione è semmai pretendere di interpretare «ad usum» di parte una legge approvata dal Parlamento, elemento fondamentale di un regime democratico. Non piace quella legge, non la si ritiene valida? Ebbene, per proporne la riforma ci sono due vie: il Parlamento e l’istituto del referendum. C’è tempo per ricorrere a uno di questi mezzi dopo una prova elettorale alla quale ormai non si può sfuggire. Questa è la democrazia. Ora come ora una cosa è innegabile, come ha detto quel serio «rivoluzionario» chi si chiama Fausto Bertinotti, attuale presidente della Camera: «Questa legislatura è politicamente finita». Così è, non c’è dubbio.

Toccherà alla prossima affrontare riforme e impostare una vera e solida politica di salute pubblica.

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