«Legge giusta, io al potere solo per una distrazione»

Allora Irene Pivetti, come le sembrano le quote rosa nei cda?
«Purtroppo mi devo ricredere e ormai sono un male necessario. Io sono sempre stata contraria ma bisogna darsi una sveglia in qualche maniera».
E l’imposizione per legge è la via giusta?
«Sì, fino a che la situazione si riequilibra naturalmente com’è avvenuto all’estero dove ci sono donne al comando del Fondo monetario internazionali e alla Banca mondiale».
Ma perché nei Cda le donne sono sempre state mosche bianche?
«Per spirito di casta. Non si è mai voluto rischiare su nomi nuovi, c’è diffidenza».
E ora che si vedranno donne, saranno all’altezza?
«Non avremo problema di qualità, semmai solo di orari e di organizzazione».
Perché era contraria alle quote rosa?
«Non mi piace l’idea della riserva protetta. Prossimamente su qualunque donna piazzata ad un certo livello nei cda ci sarà un sospetto di quota rosa. Ma certe perplessità bisogna trangugiarle».
Anche se una donna è “targata” in quota rosa non è detto che sia cretina.
«Le donne non sono affatto cretine. Ma tutte noi abbiamo un difetto: siamo rinunciatarie, non puntiamo al potere».
Ma lei è stata una donna di potere giovanissima.
«Avevo 31 anni quando sono stata nominata presidente della Camera. Ma io ci sono arrivata per una crepa del sistema».
Cioè per sbaglio?
«Esatto. Il sistema si è distratto, ogni tanto succede».
E ha sentito il peso di essere donna in un mondo di uomini?
«Ho trovato molto utile rendermi antipatica. Potevo permettermi di andare dritta».
Qual è stato il suo provvedimento al femminile?
«Riprogrammare gli orari. In politica il tempo è usato in modo maschile, spesso viene sprecato. Così anziché convocare le riunioni alle 18 le fissavo alle 9 del mattino. Li ho incastrati».


Perché quote rosa nel privato e non nel pubblico o nella politica?
«C’è meno presenza di donne nelle aziende che nel pubblico. E in politica la quota è di circa l’ 11%. La situazione è decisamente meno drammatica».

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