Stile

L'eleganza diventa plurale in stile Dior

La nuova collezione Cruise 2020 è un incontro tra i grandi classici della maison e le altre culture

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Marrakech La voce salmodiante del Muezzin ha appena finito d'intonare il richiamo alla preghiera del tramonto che in tutto l'Islam si chiama Al-Magrib. Sotto al minareto della Kutubyya che è il principale edificio religioso di Marrakech i fedeli si stanno inginocchiando sui loro tappeti rivolti alla Mecca che per la cronaca dista 4853,06 km e vivrà questo momento topico della giornata solo tra due ore.

Gli oltre 800 invitati alla fantasmagorica sfilata Dior Cruise 2020 hanno già raggiunto i loro posti a sedere intorno alle piscine nel cortile di El Badi, il palazzo costruito per volere del sultano Sa'diano Ahmad al-Mansur al Dahabi nell'arco di 25 anni a partire dal 1578. In origine aveva 360 stanze e un'unica piscina più o meno grande come un piccolo lago oltre che interamente decorata da marmi italiani e fregi d'oro. I preziosi materiali policromi sono finiti a Meknes, nel palazzo di un altro sultano, quella specie di laghetto artificiale è stato diviso in grandi vasche rettangolari dove un esercito d'inservienti marocchini assoldati da Dior accende la bellezza di 1000 lumini intorno a sette enormi bracieri. Le cicogne che nidificano sul muro di cinta si alzano per un attimo in volo come a controllare che vada tutto bene. A questo punto irrompe la musica eseguita dal vivo: un ipnotico ritmo di percussioni.

Le modelle sfilano su grandi e bellissime stuoie di paglia che a quanto pare costerebbero 700 euro l'una. Comincia quasi subito il tormentone sui costi probabilmente faraonici di questo evento che ha richiamato in Marocco persone e personaggi provenienti da tutto il mondo tra cui l'attrice premio Oscar Lupita Nyong'o, Emanuelle Seigner, Jessica Alba, Karlie Kloss e la mitica Diana Ross cui si deve un impareggiabile concerto a sorpresa. Tra gli italiani spicca Jovanotti in viaggio con la famiglia per il lungo ponte di primavera e un nutrito drappello d'incondizionati fan di Maria Grazia Chiuri, la formidabile designer romana che riportato Dior in cima alla lista dei desideri femminili. Stavolta madame ha superato se stessa creando una collezione senza precedenti nella moda e nella società: un inno all'eleganza plurale, la più autentica integrazione estetica e culturale che si possa immaginare. Il punto di partenza è il libro Wax & Co. Antologia dei tessuti stampati d'Africa (l'Ippocampo Edizioni) in cui l'antropologa Ann Gosfilley racconta la storia di questo straordinario manufatto tessile che nasce in Indonesia dove ancora oggi i più pregiati disegni batik vengono realizzati con la cera. I primi esemplari arrivano in Europa all'epoca delle colonie, ma la tecnica viene subito importata anche in Africa per via di una guarnigione di soldati del Ghana che l'Olanda spedisce nel Sud Est Asiatico per sedare una rivolta. Da allora il Wax diventa africano, ne parla perfino Léopold Sedar Senghor, primo presidente del Senegal e grande poeta della cosiddetta «negritudine» in lingua francese. «Ho pensato di realizzare un incontro tra diverse culture sotto il segno di Dior» spiega la Chiuri che ha chiesto alla manifattura Uniwax di Abidjan d'interpretare con il wax le più iconiche stampe della storica maison francese: la mitica Toile de jouy nelle sue diverse rielaborazioni e i famosi tarocchi cari a Monsiuer Dior. Il risultato è semplicemente fantasmagorico anche perché su tutto questo Madame ha innestato la collaborazione con l'artista Pathe'O che collaborava con Mandela alla nascita di un'identità africana forte e progressista e le due giovani designer Grace Wales Benner e Mikhalene Thomas cui ha chiesto una reinterpretazione contemporanea del New Look. Il tutto a Marrakech, l'enclave della cultura beat in cui si tuffò con entusiasmo Yves Saint Laurent, primo direttore artistico al posto di Christian Dior.

Insomma un capolavoro privo tra l'altro del profumo ormai vecchio del folk ma con tutta la forza del sogno di un mondo migliore.

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