Milano - «Il mio è un libro sui pregiudizi». Gwyneth Cravens li conosce bene. Per anni ha considerato inconfutabile l’equazione fra ambientalismo e lotta al nucleare, poi ha scoperto che l’energia dall’atomo «è il modo più pulito, sicuro ed economico per ottenere elettricità su larga scala». Fra le manifestazioni al Greenwich Village a New York e la conversione c’è di mezzo il chimico Rip Anderson, animo ecologista impiegato in un laboratorio nucleare nel Nuovo Messico. Un giorno di dieci anni fa la Cravens, scrittrice e divulgatrice scientifica per Harper’s, New York Times e Washington Post, ex fiction editor al New Yorker, torna ad Albuquerque, dove è nata e cresciuta. Terra di grandi spazi ed esperimenti misteriosi. Dove da bambina immaginava montagne ripiene di armi atomiche, funghi tossici che avrebbero ricoperto gli altopiani e inquinato i fiumi e preparava con l’amichetta di scuola piani di evacuazione extraterrestri in caso di attacco sovietico. «Quel giorno Rip Anderson mi parlava bene del nucleare - racconta al telefono - e io ero in completo disaccordo». Lui però è uno scienziato e un ambientalista convinto: «Mi sono sorpresa, e lui mi ha suggerito di andare a verificare con i miei occhi».
Inizia così un tour nucleare lungo dieci anni, un viaggio fra miniere di uranio, siti di stoccaggio, reattori, impianti a carbone, studi su isotopi e radiazioni, laghi che hanno nomi sinuosi come Ambrosia ma raccolgono scorie, esperti antiterrorismo e centrali «molto più linde di un ospedale».
Oggi la Cravens vive sulla costa Est e all’atomo ha dedicato le quasi cinquecento pagine di Il nucleare salverà il mondo. La verità nascosta su un’energia pulita, appena pubblicato in Italia da Mondadori (pagg. 533, euro 18,50). Parla dalla sua casa a Long Island. «Il Giornale è a Milano? Ci sono stata. Ho vissuto in Italia, un paese meraviglioso».
Sa che non c’è il nucleare?
«Lo so. Speriamo che l’Italia torni indietro al più presto e cominci a costruire centrali».
Molti italiani sono ancora contrari.
«All’origine di ogni paura c’è Chernobyl: un incidente terribile, ma all’epoca le statistiche furono esagerate. E poi a Chernobyl il reattore non aveva una stanza di contenimento: in Francia o in Giappone un impianto del genere non sarebbe possibile».
Perché convertirsi al nucleare?
«È una buona idea soprattutto dal punto di vista ambientale e della salute: azzera l’inquinamento da biossido di carbonio e i rischi di malattie cardio-respiratorie».
Anni fa anche lei era contraria. Perché?
«Ero terrorizzata da Chernobyl e dalle radiazioni. Poi ho scoperto i fatti, le cifre. E ho cambiato idea».
Era un’attivista?
«Ho raccolto firme contro la realizzazione di nuove centrali, come quella di Shoreham, vicino a casa mia. Non è mai stata costruita».
Si è pentita?
«Gli impresari erano corrotti, quella società non esiste più. Però oggi Long Island avrebbe energia pulita, soprattutto d’estate, quando le spiagge si riempiono di newyorchesi, i consumi di elettricità aumentano e l’unica soluzione è il petrolio. Così inquiniamo e spendiamo molto di più».
È sempre ambientalista?
«Sono a favore del solare e dell’eolico, ho un orto biologico. Gli americani mi chiamerebbero una treehugger. Ma ho scoperto che la propaganda è falsa: per produrre energia su larga scala il nucleare è più sicuro, economico e meno inquinante di qualunque altra tecnologia».
Quando si parla di nucleare quanto contano i pregiudizi?
«Il mio libro è sui pregiudizi: credi di conoscere qualcosa, ma non è così. All’inizio della carriera ero caporedattore, come i colleghi uomini, ma il mio stipendio era più basso».
Al New Yorker?
«No, ad Harper’s. Mi pagavano meno solo perché ero donna. Quando me ne sono andata ci sono voluti due uomini per sostituirmi. Ho sperimentato io stessa che cosa sono i pregiudizi. Io li avevo sul nucleare, perché mi fidavo di informazioni sbagliate».
Quali sono i pregiudizi più comuni?
«Il primo è che il nucleare abbia causato molti morti. Ha ucciso a Chernobyl, dove l’incidente non fu contenuto in nessun modo. Negli Stati Uniti in sessant’anni non ha provocato nemmeno un morto fra la popolazione. Un’altra convinzione diffusa è che le radiazioni siano terribilmente pericolose, ma si basa su una confusione fra radiazioni a dose bassa e a dose alta. Solo queste ultime sono davvero dannose. E noi riceviamo più radiazioni dalla natura e dalla medicina nucleare che da qualsiasi altra fonte: la terra, le rocce, le montagne sono radioattive. Siamo sempre esposti a radiazioni a basso dosaggio: meno dell’uno per cento deriva da impianti nucleari».
Nel libro scrive che una vecchia casa in pietra a Ramsar, in Iran, è venti volte più radioattiva del terreno di Chernobyl. Dati del 1993. Com’è possibile?
«Quell’area dell’Iran è una delle più radioattive del pianeta. Ci sono zone in India, Cina e Brasile dove il suolo è naturalmente molto radioattivo, e le persone abitano lì da secoli. Se una persona si trasferisse da Chernobyl al Colorado per evitare le radiazioni commetterebbe un errore. Anche una passeggiata alla Grand Central Railway Station di New York espone a più radiazioni».
Perché il nucleare è un’energia pulita?
«Non ci sono emissioni di gas nocivi. Poi la fonte è l’uranio: ne basta pochissimo per produrre molta energia. Il cuore di un reattore occupa poco spazio, gli sprechi sono minimi».
E le scorie?
«Anche il volume di rifiuti radioattivi è basso. Se una persona ricavasse elettricità solo dal nucleare, in una vita intera le scorie totali peserebbero appena un chilo, contro un equivalente di quasi 70 tonnellate di scarti solidi prodotti dal carbone».
Lo smaltimento non è pericoloso?
«Le scorie vengono isolate e protette in contenitori speciali e poi seppellite in profondità nel terreno: nessuno è esposto alle radiazioni».
Perché tante resistenze al nucleare?
«È la storia, la paura della bomba atomica. Poi molti hanno vissuto Chernobyl come un’altra Hiroshima, ma non è così. A Chernobyl è andato tutto storto, e il direttore della centrale non aveva competenze: era un quadro del Partito comunista, non un ingegnere».
Esistono rischi?
«Molto inferiori a quelli degli impianti a carbone. Ogni anno negli Stati Uniti le emissioni di carbonio uccidono 24mila persone. Dal 1986, anno di Chernobyl, mezzo milione di americani sono morti a causa del carbone; per il nucleare, neanche uno».
I pericoli però ci sono?
«Non esistono fonti di energia a rischio zero. Anche i pannelli solari sono costruiti con materiali tossici. Ma vogliamo l’elettricità?».
Abbiamo abbastanza riserve di uranio?
«È molto comune e può anche essere riciclato: in Francia è un procedimento diffuso. E può essere sostituito dal torio, un altro metallo radioattivo».
I vantaggi economici dell’atomo?
«L’uranio è meno costoso dei combustibili fossili. Per costruire un impianto negli Usa ci vogliono dai 5 ai dieci miliardi di dollari, ma la gestione è poco impegnativa».
Quanti sono gli ambientalisti convertiti al nucleare?
«Sempre di più. Ogni mese qualcuno si sveglia e si accorge che, altrimenti, dovremo fare nuove centrali a carbone, che è molto peggio. Greenpeace si oppone ancora al nucleare. E sarebbero ambientalisti...».
Il nucleare può sostituire carbone e petrolio? In quanti anni?
«In un mondo ideale potrebbe rimpiazzare tutti gli impianti a carbone e a gas. La Francia si è organizzata e in vent’anni è riuscita a ottenere l’80 per cento dell’elettricità dal nucleare. Prima il cielo francese era sporco, oggi è pulito».
Che cosa direbbe agli italiani ancora indecisi?
«Ci sono molte mitologie sull’uranio: ascoltate fonti scientifiche e universitarie, non gli anti-nuclearisti. E poi di nucleare non parleremmo nemmeno, se non ci fosse stato Enrico Fermi: un italiano fantastico che tutti dobbiamo ringraziare.
Il nucleare è necessario?
«È l’unica soluzione per i prossimi trent’anni».
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