Guido Mattioni
da Milano
Sono le 14 di ieri e la coda per votare è lunga, nel cortile dello stabile di via Canaletto 10, in zona Argonne a Milano. «Ma ai vundes lera pussè lunga, la rivava fin al purtun», sentenzia soddisfatto uno dei tanti pensionati in attesa, facendosi vento con il certificato elettorale e quello didentità ben stretti nella mano. Tanto che alle 11 (i vundes, appunto, vocabolo maschile plurale, per chiarire le idee a chi non mastica lambrosiano) lui aveva dovuto rinunciare, rinviando limpegno al pomeriggio. E sono quasi tutte chiome bianche, almeno all80%, quelle pazientemente in fila indiana lungo i dieci scalini di pietra che portano giù, al piano cantine di questa dignitosa ex casa popolare dove ha sede il seggio 31 per le primarie milanesi dellUnione. Tante rastrelliere per le biciclette, unisoletta verde recintata e mille vasi di basilico alle finestre e sui balconi che «si» guardano. Oltre che pazienti, sembrano anche tutti un po eccitati, i pensionati in attesa. Proprio come i ragazzini del palazzo, impegnati in derapate a due ruote sui lastroni di cemento. E a eccitarli non è lultimo regalo di sole caldo, una benedizione per le ossa, ma lavvenimento del giorno: perché proprio qualche minuto prima, tra loro, a far la fila per votare, cera anche «il Claudio Bisio, sì propri lu, quel del Zelig».
La porta in fondo ai gradini è dipinta di rosso, come del resto si addice a una sezione del Pdci, il partito dei cossuttiani. E dentro, varcata quella soglia vermiglia, è come fare un tuffo nel «vetero». Non tanto per letà media dei presenti, quanto per la ridondanza, sui muri, dei simboli sbiaditi di un comunismo che fu, ormai ridotti ad autarchica e a tratti logora carta da parati. Così, per esempio, sembra quasi avanzare, «uscendo» dal poster che lo ospita, uno ieratico Vladimir Ulianov Lenin in berretto e mantella rivoluzionari dordinanza. Ti scruta da poco lontano, con aria sospettosa, stringendo sotto il braccio il suo pesantissimo Capitale, il compagno Karl Marx. Mentre in un angolo più in basso, sopravvissuto a uno strappo forse revisionista, resiste lo sguardo acuto, quasi felino, del comandante Ernesto Che Guevara.
Ma la giungla boliviana dove il Che trovò la morte, o la Piazza Rossa della rivoluzione leninista sembrano molto lontane da Milano zona Argonne. Tra questi uomini e donne in età - quelli in coda e quelli dietro ai tavoli a compilare moduli e raccogliere sottoscrizioni - si avvertono impegno sincero, seria partecipazione e assolutamente poco astio. Nessuna imprecazione, nessun insulto, né lì né in altri seggi. Al massimo, uninnocua ironia. Roba da bar, del tipo «che gli venga lorticaria al Berlusca».
Alle 14.30, uscendo, la coda si è già riformata. Un afflusso che ha colto di sorpresa i responsabili del seggio, costretti per due volte, già solo a quellora del primo pomeriggio, a ricorrere alla fotocopiatrice per far fronte allimprovvisa mancanza di schede. E la medesima situazione si ripete in altre postazioni di voto visitate - almeno otto - sparse in tutta la città, dallestrema periferia alla mondanissima e centralissima piazza San Babila.
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