L'eterna campagna baciata dall'uomo dove la letteratura va oltre la malaria

Dal rito dell'«estatatura» alle bonifiche, così la terra fra Cecina, Bolgheri e Volterra insegna a chi ci vive il «valore dell'esistenza»

L'eterna campagna baciata dall'uomo dove la letteratura va oltre la malaria

Anche se nato a Roma, sono sempre stato considerato uno scrittore maremmano, perché ho scelto la Maremma come sfondo delle mie narrazioni. Il mio primo incontro con questa terra è legato al ricordo dei viaggi che la mia famiglia faceva all'inizio dell'estate per andare in villeggiatura prima a Cecina Marina e poi a Volterra. Cecina Marina era per me il mare, che non amavo, e Volterra la campagna che invece ho sempre molto amato.

Perché ho scelto questa terra per ambientare i miei racconti? Perché non ha un carattere, specialmente ora che anche la malaria è stata debellata e sono finite le incursioni saracene dei secoli passati. È evidente, infatti, che quando una terra ha un carattere è questo che risalta all'attenzione, non l'esistenza o lo scorrere della vita. La Maremma si divide in toscana e laziale, ma è alla prima che io posso dedicare la mia attenzione, avendoci vissuto. Vent'anni li ho trascorsi a Grosseto e altri 9 a Marina di Castagneto, che dal 1926 fa parte della provincia di Livorno, mentre prima faceva parte della provincia di Pisa.

Aggiungo queste cose per spiegare che esiste una Maremma toscana diversa da quella grossetana, infestata un tempo anch'essa dalla malaria. Per esempio a Cecina Mare che frequentavo da bambino, e che allora si chiamava molto più modestamente Cecina Marina, esistevano paludi malfamate lungo la costa, che, dicevano, ad andarci a una cert'ora la sera, c'era da buscarsi la malaria. Ed era forse proprio per sfatare questa diceria che ero solito fare una lunga passeggiata sulla spiaggia, arrivando alla prima e alla seconda goretta (gorette si chiamavano, infatti, questi impaludamenti naturali). Arrivato alla prima o alla seconda goretta, io mi sdraiavo sulla battima. Sotto il mio peso la sabbia, che in quel punto era uno strato sottile e bucherellato, si rompeva.

Prestavo orecchio, più che al fruscio del mare, al rumore delle cicale, che veniva dalla pineta. Quel rumore, come diceva mio padre, le cicale lo fanno con la pancia. Era un ronzio monotono, ma a me sembrava il simbolo dell'estate, così come il canto degli stormi o dei passeri sugli alberi di Roma mi faceva capire che presto saremmo partiti per la villeggiatura.

Ma per capire quanto poco amata è stata la Maremma prima della bonifica, proprio a causa della malaria, potremmo rifarci al Carducci, poeta maremmano per eccellenza. Molte sue poesie, fra le più belle, s'ispirano a Castagneto Carducci e a Bolgheri, luoghi della sua infanzia. In «Nostalgia» dice: Là in Maremma ove fiorì/ La mia triste primavera...

Carducci fu il primo poeta della mia infanzia; mio padre, infatti, l'amava molto. Era un uomo dell'800, già legato alla Maremma per aver vissuto da piccolo a Volterra. Amava gli autori del suo tempo e prima di tutti il Carducci. È naturale che io, il più piccolo dei suoi figli, ne abbia subito l'influenza.

A Castagneto Carducci c'è un busto barbuto del poeta sulla breve scalinata che porta al municipio. Ma il borgo carducciano per eccellenza è Bolgheri. Forse a causa di una bottega, che non si deve essere più rinnovata dall'800, o forse a causa della piazza Bionda Maria. Maria fu il primo amore del poeta, che in «Idillio maremmano» la ricorda così: Co 'l raggio de l'april nuovo che inonda/ Roseo la stanza tu sorridi ancora/ Improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;/ E il cuor che t'obliò dopo tant'ora/ Di tumulti oziosi in te riposa,/ O amor mio primo, o d'amor dolce aurora... Certo, le peggiori infezioni malariche si trovavano altrove, in provincia di Grosseto: dove sono stato il maggior tempo della mia vita. La vicenda di Grosseto fu in effetti molto più tragica, e lo testimoniano ancora freschi ricordi del passato, come il monumento a Canapone nella piazza principale (Canapone era chiamato il secondo granduca lorenese, Pietro Leopoldo, appunto perché biondo; il primo, Stefano, s'era disinteressato del suo granducato toscano, essendo marito di Maria Teresa d'Austria. Stefano era morto nel 1765; gli era succeduto, col titolo di granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, cioè Canapone, che iniziò le bonifiche).

Il monumento a Pietro Leopoldo, come pure il nome ai viali di illustri bonificatori quali lo Ximenes, non sono la sola traccia di quel passato nefando: ci sono ancora, nel vecchio centro, certe grate a finestre basse che certo servivano a proteggere dalle zanzare, specialmente d'estate. D'estate i principali uffici pubblici sfollavano: c'era, infatti, l'uso dell'estatatura, cioè dello sfollamento in montagna. Grosseto era chiamata allora «la città dei tre P» (punizione, prima nomina, pensione). Tutto era cominciato con l'impaludamento di Castiglione della Pescaia, un paese della costa. Questo impaludamento era avvenuto nel secolo XIV, quando Grosseto era sempre sotto Siena; ma la storia non diventa chiara che nel secolo XVIII, al tempo in cui Pietro Leopoldo alias Canapone iniziò le sue bonifiche. Le cose peggiorarono quando ai Lorena successe Napoleone: la Toscana era, infatti, diventata un dipartimento francese. A causa della follia guerrafondaia del despota, non si fecero bonifiche. Con la Restaurazione tornarono i Lorena e le bonifiche ricominciarono; per essere interrotte di colpo quando la Toscana entrò a far parte del Regno d'Italia. Finché, molti anni più tardi, l'inchiesta Jacini richiamò l'attenzione dei parlamentari sulle miserevoli condizioni della provincia di Grosseto. Vennero intraprese allora le bonifiche decisive: nel 1897 cessò l'estatatura.

Oggi la malaria è stata debellata, non solo nella provincia di Grosseto, ma anche in quelle di Pisa e Livorno, che furono anch'esse colpite dal flagello. Pure, solo una spinta all'agricoltura può rimetterle in sesto. Grosseto figura ancora come una provincia poco popolosa, depressa da un punto di vista economico. Per sanarne l'economia, invece d'incrementare l'agricoltura, si è pensato bene di introdurvi caserme di militari!

***

Per me la Maremma significa anche la magica scoperta del mondo circostante a fianco dei miei fratelli o dei miei cugini. Per esempio con mio cugino Ernesto ricordo una lunga gita verso Monte Nero, che è una località del Volterrano. Ricordo che era l'inizio d'agosto. Di primo mattino ci incamminammo e arrivati sul rettilineo dal quale potevamo facilmente raggiungere Monte Nero, io presi a destra, per una scorciatoia che saliva a una casa, ed Ernesto come al solito mi seguì. Arrivati in cima, mi accorsi di avere sbagliato strada: infatti ci attendevano una quantità di poggi brulli, sui quali dovevamo risalire dopo essere ridiscesi. La casa in cima al poggio era tutta sgangherata, aveva accanto solo un cipresso, e noi ci domandavamo come potesse della gente vivere in una bicocca simile. Più tardi trovammo una rupe a strapiombo nella vallata, e io pensai che potesse essere quella che si vedeva da casa mia quando si guardava verso Monte Nero. Invece non poteva essere, perché non eravamo arrivati e camminammo ancora delle ore prima di arrivare.

Mi accorgo che forse il mio parlare della Maremma non è quello che ci si aspetta. Dovrei evocare grandi pianure e butteri bruciati dal sole. Ma per me rappresenta un mondo diverso, l'ambiente dove ho scoperto il valore dell'esistenza. Lo scorrere della vita, uguale da tutte le parti, ma più intenso in campagna. La campagna è un'altra cosa. La campagna è bella, ma non per i suoi aspetti naturalisti, come si sente ripetere spesso; ma per la presenza dell'uomo. Una volta fui costretto a dir la mia sugli aspetti naturali che riflettono meglio la poesia; e scrissi press'a poco così: «La campagna è più adatta perché eterna: voglio dire che la poesia intende riflettersi sulla natura incontaminata o poco modificata dalle opere dell'uomo».

Ma per me il paesaggio che riflette meglio la poesia è quello vicino alla costa: non però dove i monti incombono alle spalle del mare. Non è per me, insomma, il promontorio (probabilmente perché, da bambino, andavo a Cecina Marina). I fatti esistenziali si legano inevitabilmente alla storia personale. Probabilmente se la mia storia personale fosse stata diversa, io non avrei sentito il bisogno di ambientare le mie opere in Toscana: o meglio, in una certa parte della Toscana, quella che può essere intesa sotto il nome di Maremma.

La Maremma è per me la pineta della costa, con un territorio in piano sufficientemente ampio alle spalle. In mare tramonta il sole (mi è inconcepibile l'Adriatico, dove il sole tramonta alle spalle del mare). Mi piace vedere un tratto di pineta, come quella che ho avuto sotto gli occhi per molti anni. Oh Dio, la Maremma è anche Volterra, e lì siamo parecchio lontani dalla costa. Ma Volterra si chiama Marittima, che Marittimo vuol dire Maremmano. La sua altezza doveva difenderla dal flagello (Volterra è alta più di 500 metri, e la malaria infuriava sicuramente in basso. Cioè ai piedi dell'altura: specialmente verso la Val di Cecina, che, come dice il nome, conduceva a Marina). La campagna voleva dire prima di tutto Volterra: perché era lì che l'avevo conosciuta. Comunque, anche Volterra è Maremma: chissà, senza la Maremma, oggi non sarei nemmeno uno scrittore.

Non posso pensarci: amo troppo la letteratura, per pensare di essere qualcosa d'altro. Anche ora che ho cambiato molte delle mie vedute: l'amore per la letteratura è rimasto intatto, e non poteva essere diversamente.

In che cosa è cambiato? Nel passare dalla letteratura pura alla letteratura impegnata. Ma non nel senso di Vittorini, che considerava la sola rivoluzione moderna la rivoluzione russa (parlo del Vittorini comunista e del Vittorini anticomunista). Per me la rivoluzione deve ancora avvenire: e sarà appunto il disarmo a determinarne il carattere. Io oggi non sono solo uno scrittore maremmano, sono anche uno scrittore impegnato. Ma non ho cambiato le mie caratteristiche letterarie.

Tant'è vero che nello scrivere il mio primo romanzo avveniristico (genere che un tempo consideravo impossibile), il cui protagonista è un cane, lo situo in Maremma, e precisamente a Marina di Castagneto. La località non è mai nominata, ma perché gli animali non parlano.

«Qui Touring», ottobre, 1984

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