Letizia tira fuori le unghie: «Vogliono alzare le tariffe»

Il primo giorno della Moratti fra i banchi della minoranza. «Lasciamo bilanci sani, la nostra opposizione sarà fermissima»

Letizia tira fuori le unghie: «Vogliono alzare le tariffe»

«Non vorrei che il suo accenno al bilancio fosse un modo per mettere le mani avanti e alzare le tariffe tra qualche settimana. Come opposizione saremo fermissimi». La «collega consigliera Brichetto Arnaboldi», come la presenta il neo-presidente Basilio Rizzo prima di passarle la parola in aula, è tornata a Palazzo Marino per tirare fuori le unghie. Sottolinea subito che si farà chiamare come Letizia Moratti, come quand’era sindaco, appena tre settimane fa, e non si fa intimidire dai fischi che rimbombano dalla piazza che la ascolta davanti al maxischermo. Primo giorno da consigliera di minoranza in consiglio comunale. La Moratti arriva da casa a piedi accompagnata dal fedelissimo Pasquale e si prende qualche sfottò dal popolo arancione che guadagna le prime file in piazza San Fedele come allo stadio. Tira dritto. Ha già rinunciato alla scorta, ma «ho dovuto fare tre telefonate al prefetto Gian Valerio Lombardi e insistere» racconta. Giacca nera, camicia di raso fucsia abbinata alla borsa e gonna a pois bianchi e neri, arriva mezz’ora prima che suoni la campanella. Giuliano Pisapia la invita ad avvicinarsi a inizio seduta per stringerle la mano. Rimane seduta quasi tutto il tempo nelle tre ore e mezza prima di replicare all’intervento del sindaco, solo dopo le 20. Mette e toglie gli occhiali, corregge a penna il discorso che poi interpreterà quasi a braccio. Si alza solo per votare il presidente dell’aula e congratularsi con Rizzo dopo l’elezione. Parla spesso con il capogruppo Giulio Gallera, con il leghista Alessandro Morelli, ride quando il ciellino Carlo Masseroli che ha il compito di introdurre la seduta inciampa sulle parole. Con i pidiellini in capannello attorno alla sua poltrona, quella che occupava prima l’ex An Stefano Di Martino, torna a discutere dei sondaggi e dei motivi della sconfitta. Applaude tiepida al giuramento del sindaco, mentre il resto dell’opposizione resta a braccia incrociate. In aula si presenta da indipendente e ha il diritto di parola per prima dopo il discorso-accusa di Pisapia sul Pgt da rivedere dando ascolto ai cittadini, su un bilancio che «da un primo esame conferma quanto i revisori del Comune avevano rilevato e cioè un andamento assai negativo delle entrate». Ma al «signor sindaco», come lo cita almeno otto volte (e forse un pò malignamente, visto che Pisapia ha dichiarato che non gli piace essere chiamato così) ribatte punto per punto. Nell’incipit gli augura buon lavoro, ma parte subito con l’affondo. «Mi è dispiaciuto che il signor sindaco abbia messo le valutazioni sul bilancio tra i primi punti del suo discorso - attacca -. Noi siamo orgogliosi di lasciare alla città, se la giunta eseguirà le nostre indicazioni, un avanzo di 48 milioni di euro, due nuove linee della metropolitana, due nuovi musei. In un momento di difficoltà economica e finanziaria siamo orgogliosi di non aver pesato sui cittadini né con aumenti delle tariffe né con l'addizionale Irpef. Non vorrei che questo suo accenno sia un modo per mettere le mani avanti e alzare le tariffe nelle prossime settimane». La relazione di Pisapia, continua, è «generica e retorica, mi sarei aspettata delle linee precise». Quando parla dei piani di sviluppo «descrive di una Milano che c’è già ed è il motore del Paese» e gli rimprovera di aver esaltato la vitalità di Milano solo in riferimento al movimento politico e civile che lo ha portato alla vittoria, «un accenno a una vitalità rappresentata dalle imprese, dal volontariato, indipendente dalle giunte che cambiano sarebbe stato doveroso». Avverte che il blocco del Pgt paventato da Pisapia «avrebbe creato posti di lavoro, più verde, più servizi, più opportunità».

Scadono i dieci minuti di tempo a disposizione e le senatrici Barbara Pollastrini e Marilena Adamo sedute dal pubblico mostrano l’orologio e chiedono di rispettare il tempo. «Non mi sento di votare la delibera - conclusione - perché non risponde alla città che lei trova e alle straordinarie vitalità della città. Che non sono cambiate in poche settimane».

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