La lettera del soldato commuove Israele: «Sto male, salvatemi»

Scegliere tra guerra e trattativa, decidere se sia meglio colpire al cuore Hamas o inseguire la tregua proposta dal gruppo fondamentalista attraverso l’Egitto.
Il giorno del giudizio, arriva dopo una notte segnata da quella lettera dall’inferno in cui il 21enne sergente Gilad Shalit, prigioniero da due anni di Hamas, scrive al padre e supplica di non abbandonarlo. È una lettera scritta con calligrafia incerta e cuore pesante. «Sogno soltanto il giorno in cui potrò tornare a casa, sto male, salvatemi, non abbandonatemi», racconta al padre il soldato con il volto da ragazzino. Da quelle righe strappate alle segrete di Gaza affiora anche una supplica al paese intero. «Chiedo al governo di non abbandonarmi», implora Gilad. Sono parole pesanti come macigni. Parole che gli israeliani non sono abituati a sentire da un figlio prigioniero. Ma sono pesanti anche i missili e i colpi di mortaio che martellano i villaggi intorno alla Striscia di Gaza. Hanno ucciso un uomo la scorsa domenica, tranciato quattro vite in poche settimane, colpito 18 volte ieri mattina e ieri pomeriggio. Certo elicotteri e aerei senza pilota danno la caccia ai responsabili dei lanci, inceneriscono tre militanti, ma quelle rappresaglie sono cure transitorie. Il paese pretende invece soluzioni definitive.
Ehud Olmert, Tzipi Livni e Ehud Barak, il premier e i ministri di Esteri e Difesa considerati la cupola dell’esecutivo, decidono dunque di riunirsi per emettere un verdetto segreto, ma definitivo. Oggi quel verdetto verrà esaminato dal gruppo più ampio di ministri e responsabili di Difesa e servizi segreti riuniti all’interno del Gabinetto di Sicurezza. Le incognite però non mancano. Da una parte c’è l’incertezza di una tregua che consentirebbe ad Hamas di rafforzarsi continuando a contrabbandare armi. Dall’altra ci sono gli inevitabili dubbi legati ad un’offensiva difficile e sanguinosa. Invadere Gaza, rastrellarla casa per casa, distruggere gli arsenali, eliminare i vertici di Hamas significa anche rimandare la liberazione del soldato Shalit, rischiar di perderlo per sempre, combattere con l’assillo di un ostaggio in mani nemiche. Hamas ha già fatto capire che negoziato sulla tregua e sull’ostaggio corrono su binari diversi. Il governo Olmert ha già detto di non voler liberare i 400 palestinesi richiesti in cambio del suo soldato, visto che almeno 330 di quei prigionieri hanno le mani sporche di sangue israeliano. La decisione della cupola di governo fluttua dunque nell’incertezza. A renderla più complessa contribuiscono le rivalità e le contrapposizioni tra i «magnifici tre». Barak, il soldato più decorato d’Israele, vuole rubare la poltrona ad Olmert e punta sull’offensiva di Gaza per guadagnarsi l’appoggio del paese. Ehud Olmert, primo e unico premier senza un passato da ufficiale, sa che l’invasione bloccherà le trattative di pace con Fatah e con la Siria su cui punta per mantenere il potere.

Tzipi Livni, l’ex operativa del Mossad, cresciuta rincorrendo i terroristi, insegue ora la poltrona di leader di Kadima e deve capire se sia meglio sopravvivere all’ombra di Olmert o gettarsi a capofitto nel tumulto di una nuova guerra e di nuove elezioni volute da Barak.

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