Controcultura

"Le masse social sono la nuova sfida"

Il filosofo Flavio Felice: "La Costituzione enfatizza la Repubblica, non lo Stato"

"Le masse social sono la nuova sfida"

Tutto è rumore. Quando le masse entrano nella storia, e questo accade e riaccade nei secoli con sempre più fragore, non c'è più nulla di certo. I vecchi mondi sbandano e le istituzioni si sgretolano. È successo nella Roma repubblicana del primo secolo avanti Cristo, con le guerre civili e la dissacrazione del mos maiorum. E poi con le rivoluzioni mercantili che segnano il lento addio al Medioevo e ancora con la rivoluzione francese, con i caffè parigini che amplificano le voci degli intellettuali sradicati, fino a sollevare il popolo. Accade all'inizio del vecchio secolo, quando viene battezzata la modernità, in quell'Europa di moltitudini che non piaceva a Ortega y Gasset. L'ultimo arrivo è sotto i nostri occhi e le masse sono esponenziali, tanto da scardinare a colpi di like l'ordine della civiltà liberal-democratica. Flavio Felice sono decenni che studia l'onda sociale delle modernità e il rapporto tra libertà e inclusione sociale. È professore ordinario di storia delle dottrine politiche all'Università del Molise. Il suo è lo sguardo di un cattolico liberale. È ottimista, ma vede il pericolo.

L'ultima ribellione delle masse sta scardinando le istituzioni occidentali?

«Il rischio c'è e non è solo una questione di numeri. È una accelerazione dei tempi della democrazia. Non si guarda più al processo politico. I governi non ragionano su un progetto che dopo cinque anni viene valutato dagli elettori. Hai fatto bene ti premio, mi hai deluso non ti voto. No, la democrazia rischia di diventare qui e adesso. Il consenso è attimo per attimo. È istantaneo. È una fotografia scattata ogni secondo. La democrazia tradizionale è invece dinamica. È movimento. È un film».

Le leadership così rischiano la miopia. Non possono guardare lontano: prigionieri del presente.

«Appunto. Le masse nel Novecento erano organizzati nei partiti. Ora sono veloci e sparse. Sono queste nuove masse social il fenomeno che stringe l'orizzonte e rende più fragile la meravigliosa anomalia della liberal-democrazia».

Un'anomalia che spesso si dà per scontata.

«Le due tradizioni all'inizio non andavano affatto d'accordo. Solo in un momento della storia si sono incrociate e abbracciate. Non era scontato che accadesse. Eccola l'anomalia. Ora si nota, a livello politico e culturale, che questo binomio non è affatto indissolubile. C'è chi dice che la democrazia può fare a meno del liberalismo e chi sostiene che il liberalismo trova in questa benedetta o maledetta democrazia un intralcio. È questa la sfida: la libertà senza democrazia è privilegio, la democrazia senza liberalismo diventa dittatura della maggioranza».

È un processo irreversibile?

«Io ho una speranza e la Costituzione italiana ci dà un aiuto. L'Italia, dice nel suo incipit, è una repubblica democratica. Non dice Stato, ma repubblica. La differenza è profonda. Lo Stato accentra. È verticale. È lo strumento di chi propone una democrazia autoritaria. È il modello che viene dall'Est. La res publica invece contiene, abbraccia, si muove. La repubblica è ricca di corpi intermedi, verticali e orizzontali, dai partiti ai sindacati, davi territori alle famiglie in relazione e competizione tra loro.

La repubblica è il santuario che ogni liberale dovrebbe difendere.

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