Se lo sciopero di oggi fosse semplicemente inutile ci andrebbe ancora bene, peccato che invece costi, e tanto. Stiamo parlando di circa 5 miliardi di euro che peseranno in negativo sul Prodotto Interno Lordo Italiano, influendo perciò sui rapporti di deficit e di indebitamento. Dato che ci siamo impegnati per portare il deficit in pareggio indovinate con cosa si dovrà compensare ogni calo del Pil? La risposta non è difficile: con ancora più tagli e più tasse. Grazie mille.
La cosa tragicomica è però il fatto che il costo maggiore di questa goffa protesta sarà forse pagato proprio dagli scioperanti, e non solo per il giorno di trattenuta. Vediamo perché. Non è semplice calcolare il costo di uno sciopero: ci sono moltissimi studi che ne analizzano le cause ma pochi che ne studiano gli effetti. Le analisi più dettagliate comunque sono state pubblicate negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 ed indicano un peso di poco meno dello 0,4% sulla crescita del Pil dovuto ad un giorno di braccia incrociate. Proprio quello di cui si sentiva il bisogno.
In Grecia hanno abbondato con gli scioperi per protestare contro le misure di austerità e il combinato disposto delle due cose ora sta provocando una recessione sempre più severa con il default dello stato che potrebbe essere annunciato a giorni. Quando poi gli scioperanti di Atene si renderanno conto che, per quanto si pesteranno i pugni sul tavolo, non ci saranno fisicamente più soldi né per gli stipendi né per le pensioni, dopo aver assaltatoe distrutto qualche forno racconteranno alla Camusso com’è andata.
La cosa stupefacente è poi che l’agitazione dichiarata dalla Cgil (con vergognoso accodamento «responsabile» di Bersani) è contro una manovra che dovrebbe suonare come musica alle loro orecchie: in tempi non sospetti la leader della Cgil pontificava nei vari talk-show televisivi come fosse necessario tassare di più i risparmi e combattere l’evasione. La manovra l’ha accontentata in pieno e la maggior parte delle entrate vengono proprio da queste due voci (anzi, un giorno si farà un bilancio tra le «entrate » fiscali e le «uscite» di capitali dovute ad alcune misure prese in prestito dai desiderata della Camusso); anche i timidi ritocchi alle pensioni ventilati in corso d’opera e che rimangono tuttora nella prima pagina del sito della Cgil tra le motivazioni principali per l’agitazione, sono prontamente svaniti. Il sindacato dovrebbe ringraziare invece di scioperare. Macché, invece di protestare contro la palese pericolosità dell’austerità recessiva imposta dall’Europa, la geniale Cgil vorrebbe ancora più tasse; già sente la mancanza del contributo di solidarietà e non vedrebbe l’ora di imporre patrimoniali. Praticamente vorrebbe che il fuoco della padella in cui ci siamo cacciati fosse ancora più vivo.
Giustamente per raggiungere questi fulgidi risultati lo strumento scelto non poteva che essere il più dannoso in qualsiasi scenario, ovviamente lo sciopero «generale». Le braccia più che incrociarsi cadono. In due parole: in questo scenario se si mettono più tasse (qualsiasi esse siano) si va in recessione. Se si sciopera si va ancora di più in recessione quindi il Prodotto Interno Lordo cala ancora di più. Se non si cresce è impossibile sperare di creare nuovi posti di lavoro.
Con la disoccupazione cala il gettito fiscale, aumenta la cassa integrazione e quindi, essendo la pressione fiscale già da record, si dovrà tagliare ancora di più, intaccando finalmente le voci principali della spesa statale, vale a dire pubblico impiego e pensioni. Grecia bis e boomerang perfetto per la Cgil. Complimenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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