Levità e malinconia nel «Ventaglio» di Luca Ronconi

Uno spettacolo di Luca Ronconi rassomiglia sempre a un altro spettacolo di Luca Ronconi. E ciò, a nostro avviso, costituisce semmai un pregio: il segno di una ricerca espressiva chiara e coerente che, ben salda sui suoi punti chiave, ha saputo (e sa) piegarsi alle esigenze di testi diversi. Nel caso, per esempio, de Il ventaglio di Goldoni - lavoro che il direttore del Piccolo ha allestito in occasione del tricentenario goldoniano e che ora propone all’Argentina - sono bastate poche scene per farci tornare alla mente, oltre alle precedenti regie dedicate al medesimo autore (La buona moglie, La serva amorosa, I due gemelli veneziani), un lavoro di forte suggestione messo in scena qualche anno fa a Ferrara: Amor nello specchio di Giovan Battista Andreini. Anche lì infatti un oggetto - uno specchio appunto - muoveva la trama e i destini dei personaggi. Anche lì un oggetto scatenava equivoci, malumori, fraintendimenti. Anche lì - soprattutto - un oggetto diventava materia spettacolare concreta, palpabile, amplificata a dismisura. Elementi che, pur in forma assai diversa, si ritrovano in questa operazione, imbastita su una commedia che Goldoni scrisse quando era già «esule» a Parigi e che debuttò a Venezia nel 1765. Per apprezzarne l’originalità (i fatti si svolgono alle «Case Nuove» vicino a Milano), bisogna affidarsi al gioco lieve del suo intreccio e al suo «apparente» disimpegno. Ronconi prende alla lettera la trovata centrale del testo (fotografare una girandola di tipi umani e di categorie sociali alle prese con schermaglie amorose ora lascive ora romantiche, le quali trovano proprio in un futile ventaglio che passa di mano in mano il loro motore d’avviamento e di alimentazione) e la eleva a linfa vitale di tutti gli aspetti spettacolari. A partire dalla scenografia (la firma Margherita Palli): lunghi tendaggi grigiastri coprono le grandi finestre che chiudono, sul fondo, un palcoscenico-piazza stilizzato e diviso in vari ambienti comunicanti (un caffè, delle botteghe, la strada su cui affaccia il balcone della bella Candida e di sua zia Geltruda), dove gli eventi si svolgono pressoché sotto gli occhi di tutti e dove, malgrado ciò, regna una certa immobilità. Animata poi da quelle ariose note di scompostezza che arriveranno quando il ventaglio, acquistato da Evaristo per Candida, comincerà a volare all’impazzata da solo e quando, più tardi, violenti colpi di vento butteranno a terra sedie e panche, rovesceranno bottiglie e arnesi, faranno cadere tende e drappi. Per suggellare così l’epilogo giocoforza felice di un ingarbugliato intreccio di amori fraintesi, respinti e infine coronati che segna con languore il tramonto di una società ormai in frantumi. Il tutto intrecciando il filo dei personaggi «alti» con quello dei personaggi «bassi», puntellando la levità di malinconia (ben sottolineata dalle musiche di Paolo Terni), lasciando campo libero agli attori.

Ed è forse proprio qui che lo spettacolo di Ronconi rivela qualche debolezza: all’enfasi delicata ma un po’ troppo «vecchia maniera» di Giulia Lazzarini (Geltruda) fa da contrappunto l’efficace corda ironica di Massimo De Francovich (il Conte), il quale però non di rado abbraccia l’impostazione quasi straniata e sopra le righe degli altri interpreti (soprattutto i giovani). Più misurati ci sono parsi Pia Lanciotti, Raffaele Esposito e Francesca Ciocchetti. Repliche fino al 27 gennaio.

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