Prima ancora che deputata Pdl, l’ex ministro Michela Vittoria Brambilla è un’imprenditrice, di quarta generazione. L’azienda fondata negli anni ’20 dal suo bisnonno, la Trafilerie Brambilla spa, impresa leader nella lavorazione dell’acciaio inox, quest’anno festeggia i 70 anni dall’insediamento in provincia di Lecco, a Calolziocorte. E sono 70 anni molto ben portati visto che nonostante la crisi, fatturato e assunzioni hanno registrato una costante crescita. «La mia – ammette l’ex ministro – è una situazione anomala. Ma a molte altre imprese purtroppo non è andata così. Ed è per questo che, se la prova del fuoco del governo è riportare l’Italia sulla via dello sviluppo, il governo Monti deve sbrigarsi con la riforma del lavoro».
Il nodo dell’articolo 18 sembra un muro invalicabile per i sindacati, soprattutto per la Cgil...
«Ma basta con questo falso problema. Basta con contrapposizioni anacronistiche che non hanno ragione di esserci. Nessun imprenditore vuole licenziare, per me imprenditore i dipendenti sono un capitale, una risorsa, non c’è contrapposizione. L’azienda florida dà benessere in generale, io e le mie maestranze abbiamo la stessa sorte, se la mia impresa va bene ne beneficiamo tutti, io ma anche l’ultimo magazziniere».
Allora è d’accordo con De Benedetti, che qualche giorno fa ha detto di non essersi mai imbattuto nell’articolo 18?
«Ma è vero, neanche a me è mai capitato. I sindacati sull’articolo 18 fanno una battaglia di retroguardia, ma è una falsa ideologia. E lo dimostra il fatto che l’articolo 18 non tutela affatto dalla principale causa di licenziamento, che nelle imprese è la crisi. Io non nego il ruolo del sindacato, ma in un momento difficile come questo deve dare prova di sensibilità e maturazione. Quella sull’articolo 18 è una rivendicazione anacronistica, persino il bollettino della Bce ci invita a una minore rigidità. Le imprese devono poter assumere senza questo assurdo cappio. Bisogna rendersi conto che maggiore flessibilità, in entrata ma anche in uscita, spinge l’imprenditore a fare investimenti con un margine di rischio più accettabile».
E l’apprendistato come contratto prevalente su cui punta il ministro Fornero?
«Siamo stati noi per primi a rendere l’apprendistato contratto prevalente col Testo Unico. Un apprendistato esteso nel tempo, con maggiori e concrete agevolazioni, è la formula giusta per l’imprenditore che vuole allargare la sua attività senza fare assunzioni al buio. Serve a ridurre la giungla del precariato e anche a selezionare il personale sulla base delle reali esigenze dell’impresa».
In che modo va articolato? Quali correttivi ci vorrebbero?
«Per prima cosa l’estensione del periodo oltre i tre anni, almeno quattro anni. Poi una diversa modulazione e una durata più lunga. Vanno allargate le maglie dell’inserimento, la platea a cui si rivolge. Bisogna andare oltre la soglia dei 29 anni, in media chi ha un contratto a tempo determinato ha 30 anni, l’età sale a 35 anni per le donne, dobbiamo incidere su questa fascia di precari».
E per spingere le imprese ad assumere?
«Ci vogliono più incentivi, sia per chi assume sia per chi stabilizza i contratti».
Basta questo per rilanciare l’occupazione?
«È importante, ma non sufficiente. Mi auguro che nel breve, medio periodo si possa incidere anche sul costo del lavoro. Il problema del cuneo fiscale non è stato preso in considerazione, e pesa molto, comporta una notevole perdita di competitività. E poi occorre una lotta seria al lavoro nero, che purtroppo spesso è la regola».
Il governo Monti riuscirà a riformare il lavoro?
«Non so se il punto di vista un po’ teorico dei Professori sia valido. Condivido la linea seguita sinora, contrattazione con le parti sociali ma poi avanti.
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