La lezione di Langewiesche «Meno web, più semplicità»

La sua vita è sempre stata caratterizzata dal viaggio. E ancora adesso, a 55 anni, William Langewiesche non smette di progettare «spedizioni». Nella sua borsa, però, non troverete ipad, satellitari o mostruosità elettroniche. Solo penne e taccuini. Infaticabile esploratore del mondo di oggi, Langewiesche è tra i giornalisti più famosi d’America. «Figlio di pilota d’aereo, nipote di pilota, anch’io sono finito a tenere in mano una cloche», racconta Langewiesche, di passaggio a Roma per le «Lezioni di giornalismo» al Parco della Musica. «Però era una vita molto noiosa. Volare è quasi privo di rischi a confronto della scrittura». Laureato a Stanford in Antropologia confessa: «Non seguivo le lezioni. Per pagarmi la retta guidavo aerei cargo attraverso gli States». Ed è così che conosce il potere della scrittura e viene catturato dal fascino del new journalism. «Leggevo con passione i servizi di John Mc Phee sul New Yorker. E un giorno mi sono detto: se lo posso leggere, lo posso scrivere».
Langewiesche è stato il primo reporter a mettere piede a Ground Zero. Da quell’esperienza ne sono nati tre reportage, poi confluiti nel suo libro di maggior successo: American Ground (Adelphi, 2003). Basta leggere quelle pagine per capire le regole di un mestiere che sa ancora di puntiglioso artigianato. «Prima di tutto non bisogna ingannare il lettore. Ma nemmeno dimenticarsi il primo scopo del proprio lavoro e cioè guadagnare di che vivere». Insomma, un tipo comunque pratico che bada al sodo. Basti ricordare l’incipit di American Ground: «Le Torri Gemelle sono crollate l’11 settembre del 2001», semplice e scarno. L’argomento sarebbe stato una tentazione retorica per chiunque, eppure l’allora inviato dell’Atlantic Monthly, è andato dritto al sodo. «Serve però la giusta distanza da ciò che si racconta per evitare di essere coinvolti dalla retorica comune». Per aver scritto che «la morte non è un prerequisito dell’eroismo», parlando delle vittime dell’11 settembre, Langewiesche ha rischiato il linciaggio, finendo per girare sotto scorta.
Per parlare di giornalismo di guerra, Langewiesche cita Mao («La guerra si combatte con la punta del fucile») e afferma: «Quel che muove la Storia è la violenza, non la pacifica vita di tutti i giorni». Fin che ci saranno guerre da raccontare il ruolo da protagonista spetterà comunque all’informazione scritta. «Con una telecamera sei sempre parziale e non puoi avere uno sguardo d’insieme - ricorda il reporter, ora firma di prestigio di Vanity Fair -. La scrittura ti permette di analizzare e sintetizzare». Dopo aver girato il mondo, e aver osservato da vicino i conflitti in Sudan, Iraq, Kossovo e Algeria, Langewiesche non smette di sbandierare con passione il suo decalogo.

«Mai vendere a un editore o un direttore solamente un’idea - spiega -. Loro magari l’accettano senza riserve e poi dopo sei condizionato nel tuo lavoro. E soprattutto bisogna andare sul posto. Mai fidarsi di Internet, dove girano soprattutto vigliacchi e ciarlatani».

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