«Perché qui sta il punto. Vada per il ridenti, ma come fanno gli occhi a essere fuggitivi? Non è che a Silvia gli occhi escano dalle orbite. No (lunga pausa per accarezzarsi la barba). Ma questa è la Poesia, gente». Così, con due frasi e un gesto, il caro Vadacca, professore di filosofia al liceo, ci spiegò tutto Leopardi. Perché soltanto quando linsegnante sente la materia può trasmetterla agli allievi. Altrimenti, si limita a un insipido compitino, e non può poi fare loffeso se quelli glielo restituiscono rimasticato durante le interrogazioni.
I lettori perdonino a chi scrive il frammento autobiografico. Gli serve per presentare loro un famoso e grande scrittore che fu anche un grande docente. Per la precisione, docente di Letteratura inglese e nordamericana alla facoltà di Lettere e Filosofia dellUniversità di Buenos Aires. Vi era entrato nel 1956, sebbene privo di titoli universitari. NellAutobiografia ricorderà che non inviò al senato accademico elenchi di traduzioni, articoli e conferenze, ma questa dichiarazione: «Del tutto involontariamente, mi sono qualificato per questo posto durante tutta la mia vita». Certo, lui era già Jorge Luis Borges, fra laltro da un anno direttore della Biblioteca Nacional. Ma è bello pensare che venne scelto anche grazie a quellavverbio, «involontariamente», specchio della sua modestia e della sua timidezza.
Per oltre un decennio egli occupò la cattedra in calle Independencia. E a noi oggi è concesso il privilegio di assaggiare una piccola parte di quel periodo: due mesi esatti, dal 14 ottobre al 14 dicembre del 1966. In La biblioteca inglese (Einaudi, pagg. 332, euro 24, traduzione di Irene Buonafalce e Glauco Felici) Martín Arias e Mertín Hadis hanno infatti riunito uno dei corsi (venticinque lezioni), sbobinando e aggiustando quando necessario le registrazioni degli studenti. Evitiamo volentieri il giochetto «promossi e bocciati». Prima di tutto perché il professor Borges non boccia nessuno degli autori trattati: lui semplicemente coglie fior da fiore, partendo dal Beowulf per arrivare a Stevenson. E poi perché rischieremmo, con una forzatura tipicamente giornalistica, di incorrere nella topica (verificatasi recentemente su un quotidiano ad altissima diffusione) di collocare fra i «bocciati» un grande amore del Nostro, Dickens, definito «uno dei grandi benefattori dellumanità. Non per le riforme per le quali lottò e ottenne successo, ma per aver creato una serie di personaggi» (lezione 17). Secondo Borges «leggere qualche pagina di Dickens, rassegnarsi a certe sue cattive abitudini, al suo sentimentalismo e ai personaggi melodrammatici significa trovare un amico per tutta la vita».
Oddio, manca Shakespeare! Ma come, non cè Chaucer! Calma, signori. Qui si tratta di un solo corso, purtroppo. Ed è scorretto, più che inelegante, attribuire un giudizio tranchant sulla «misteriosa mediocrità» del Bardo quando la citazione, peraltro non da una di queste lezioni ma da un prologo al Macbeth, suona: «il destino di Shakespeare (1564-1616) corre il rischio di sembrarci di misteriosa mediocrità» di fronte all«epoca decisiva dellArmada Invencible, della liberazione dei Paesi Bassi, della decadenza della Spagna e della conversione dellInghilterra».
Insomma, qui Borges agisce da battitore libero. Una volta confessò a un giovanissimo Alberto Manguel, tra i suoi lettori preferiti proprio negli anni Sessanta, quando aveva ormai perso ogni capacità visiva, un rammarico: «Alluniversità non si studia la letteratura. Si studia la storia della letteratura». Ebbene, in queste lezioni troverete poca storia della letteratura. In compenso troverete tanta letteratura.
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