La lezione di papà Simoncelli a noi padri di piccoli «campioni»

La lezione di papà Simoncelli a noi padri di piccoli «campioni»

di Benny Casadei Lucchi

Grazie Signor Paolo. Signore con la esse maiuscola in segno di rispetto e gratitudine. Grazie per le sue parole e per il coraggio e la compostezza con cui lei e sua moglie affrontate il dolore che più grande non ce n’è. Grazie Signor Paolo per la profondità e leggerezza con cui ha dato a tutti noi papà la lezione che nessuno vorrebbe mai ascoltare, sentire, seguire, mandare a mente e di cui abbiamo però tutti bisogno. Una lezione arrivata morbida e inaspettata attraverso parole giuste e quello splendido ripercorrere se stesso e suo figlio. Una lezione dal valore incalcolabile per noi padri di tanti piccoli campioni del mondo familiari le cui aspirazioni, i cui talenti troppo spesso rischiamo di bloccare con dei no frutto delle nostre paure. Lei che invece ha assecondato la passione grande e immensa di Marco per le moto, moto pericolose però moto fonte di gioia e vita per quel bambino diventano uomo. Lei che invece ha seguito Marco nei week end uggiosi sui piccoli circuiti della Romagna terra sempre incinta di meravigliosi talenti. Lei che invece l’ha tenuto per mano bambino nelle levatacce sui campi delle minimoto come gli stringeva la mano e lo abbracciava al via di ogni Gp. Lei per anni costretto a ricacciare la paura di padre sempre più in fondo nel suo animo, sempre più silenziosamente man mano che il rumore attorno a Marco aumentava.
Grazie Signor Paolo. Perché noi padri e papà e babbi alle prese con i nostri piccoli campioni del mondo, un attimo dopo aver capito e compreso e visto il dramma di Marco, abbiamo cercato con lo sguardo i nostri figli facendoci tutti la stessa domanda: chissà se il papà del Sic si sentirà in qualche modo responsabile per aver assecondato questa passione? Chissà se penserà a questo?
Grazie Signor Paolo, perché non ci ha mentito. Grazie per averci fatto capire con dolorosa sincerità, quando ha detto «gli avevo insegnato ad essere un guerriero, a non mollare mai… non so se ho fatto bene o male...

», che un padre può anche farsi queste domande ma se nel cuore e nell’animo porta impresse la gioia e la vita con cui il figlio ha intensamente assaporato la propria esistenza, allora quel padre ha il sacrosanto diritto, anche nell’immensità di un simile dolore, di non colpevolizzarsi. «Perché Marco mi voleva bene. E io gliene volevo. Tanto gliene volevo».

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