Francesca Amé
«Sto vivendo da lontano questa grave crisi, ma la mia mente è laggiù, al mio Paese». Camille Eid, scrittore e giornalista libanese, importante esperto di Medio Oriente, vive e lavora a Milano. Lo raggiungiamo per telefono: «Sono in continuo contatto con parenti e amici che vivono a Beirut: dai loro racconti mi sembra di essere tornato indietro di ventanni». Eid, cristiano maronita nato nella capitale del Libano, dalla metà degli anni Ottanta vive in Italia, dove collabora con Avvenire, Asia News e Mondo e missione. Al Medio Oriente ha dedicato diversi volumi, tra cui «I cristiani venuti dallIslam» (Piemme) e «Osama e i suoi fratelli» (Pimedit). Ma oggi questo fine conoscitore delle dinamiche mediorientali si dichiara «spiazzato».
Perché?
«Abbiamo capito che le mine lasciate in Libano non sono state disinnescate. Parlo degli Hezbollah, che pensano di poter barattare la liberazione dei loro prigionieri catturando due soldati israeliani. Hanno sbagliato i loro calcoli, pensando che Israele cedesse».
Invece ha reagito.
«Penso che abbia superato il limite. Non condivido per nulla lazione degli Hezbollah, ma oggi (ieri per chi legge, ndr) sentire mio fratello dire che la gente ha fatto la coda ai supermercati e alle pompe di benzina come in tempo di guerra mi fa star male. Stavo preparando un viaggio molto speciale».
Quale?
«Fino a pochi giorni fa stavo organizzando un tour per il Libano con una cinquantina di italiani: per lavoro e per passione seguo gli avvenimenti del mio Paese e mai avrei pensato di dover annullare tutto così allimprovviso».
Perché siamo arrivati a questo punto?
«Nessuna azione degli Hezbollah è improvvisata, ma è pianificata da tempo. Credo che abbiano agito nel momento più opportuno per fare un favore allIran e ad Hamas, considerato quello che succede a Gaza. Ma è la nostra gente che paga per tutto questo e gli Hezbollah, che hanno due ministri nel governo, hanno deciso scavalcando gli altri».
Come pensa che si risolverà il conflitto?
«A mio parere la fase critica durerà ancora qualche giorno. Sono fiducioso, soprattutto per la pressione americana su Israele: il Libano si è ormai affrancato dallinfluenza siriana, gli americani sanno che può essere un alleato prezioso per lOccidente. Spero in una tregua rapida: abbiamo pagato con trentanni di guerre, credo sia stato abbastanza. Il Libano merita di nuovo la pace».
Intanto la gente è in fuga da Beirut.
«Almeno 12mila arabi in vacanza sono scappati in Siria, senza contare gli occidentali che hanno fatto subito armi e bagagli. La stagione turistica è andata. Per non parlare di Beirut, una città che stava rifiorendo promuovendo anche allestero la sua immagine di centro culturale cosmopolita che la rende tra le più vivaci del Medio Oriente. Ancora una volta tutto è andato in frantumi. Si sarebbe dovuto tenere in questi giorni il Baalbeck International Festival (grande kermesse musicale e artistica sullAcropoli romana, ndr), con un programma da brivido. Tutto è rimandato».
«O amore di Beirut, o amore dei giorni. / Ritorneranno, o Beirut, i giorni ritorneranno», canta Fairouz, leggendaria interprete libanese. Oggi si sarebbe festeggiata la cinquantesima edizione del festival, e Fairouz avrebbe dovuto essere sul palco.
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