Antonio Signorini
da Roma
Il sospetto, sempre più concreto, è che alla fine l’Italia ottenga la guida della missione di interposizione dell’Onu in Libano, ma al prezzo di andarci da sola o quasi. I moderati del centrosinistra non si sono fatti convincere dall’ottimismo di Massimo D’Alema («l’Europa si sta facendo avanti») né dalle rassicurazioni del premier Romano Prodi (all’Italia la guida della forza di pace, a patto che ci sia un mandato internazionale chiaro).
E se i conti non tornano è soprattutto colpa di Parigi che vuole mandare solo 400 soldati. «Senza la Francia noi non possiamo partire per il Libano. Chirac ha bisogno di tempo per chiarire alcuni nodi della risoluzione? Bene, aspettiamo che lo faccia. Ma l’Italia non può affrontare da sola la missione», ha avvertito Pierluigi Castagnetti, vicepresidente della Camera. I rischi di una missione debole, secondo l’esponente della Margherita, sono «il fallimento militare e politico, con terribili conseguenze in quell'area». E il fatto che a esprimere dubbi sia proprio la Francia «che ha antichi legami con il Libano» dimostra che si potrebbe finire in «un pantano all’irachena».
Castagnetti vorrebbe più chiarezza sulle regole d’ingaggio. E sul punto cruciale del disarmo degli hezbollah che non vorrebbe fosse affidato ai soldati Unifil. Ma le sue argomentazioni non convincono il compagno di partito e prodiano doc Franco Monaco, che spiega i dubbi dei moderati del centrosinistra come un colpo di coda dell’andreottismo. «L’attendismo e le disponibilità condizionate conducono al gioco del cerino col risultato che tutti si faranno indietro». In Castagnetti, aggiunge Monaco, «trovo traccia di una difficoltà degli ex Dc (penso ad Andreotti), che pure vantano grandi meriti specie nella politica estera: la difficoltà di misurarsi con la nuova responsabilità di attivi interventi anche di polizia internazionale». Accusa che lo stesso Castagnetti ribalta: cultura di governo, spiega, significa «pretendere la creazione delle migliori condizioni possibili per un’impresa la cui doverosità non viene messa in discussione da alcuno».
Sulla stessa linea il vicepremier e leader della Margherita Francesco Rutelli che dice di apprezzare il «senso di responsabilità» di Prodi, D’Alema e di Parisi, afferma che l’Italia è pronta, ma mette in guardia sui rischi: «Dobbiamo sapere che si tratta di una missione critica, difficile, soggetta a incognite e non intendiamo partire con il plauso generale per poi ritrovarci magari, dopo qualche mese, in solitudine». E anche l’Udeur di Clemente Mastella si iscrive al partito dei prudenti: «O l'Europa dimostra un oggettivo interesse alla stabilità del Medio Oriente con un forte impegno politico e militare, oppure sarà difficile che l'Italia possa sopportare da sola l'onere di un impegno così gravoso e altamente rischioso», si spiega in una nota del Campanile.
I Democratici di sinistra si stringono attorno al ministro degli Esteri e pretendono l’obbedienza degli alleati. «La missione è senza dubbio complessa e rischiosa - riconosce la vicepresidente del gruppo dell’Ulivo alla Camera Marina Sereni - ma non ci si può limitare ad esprimere dubbi e perplessità. L’impegno dell’Italia non può venire meno». Nel centrosinistra c’è anche chi prende la palla al balzo e chiede di ritirare le truppe italiane dall’Afghanistan. Anche, spiega il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli, «per motivi di ordine economico e per la priorità che la questione palestinese riveste nell’equilibrio internazionale».
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