Roma - La Lega vuole arrestare il Papa. Forse. Anche perché, si sussurra a Montecitorio, c’è il rischio che «ammazzato un Papa se ne debba poi ammazzare un altro, e poi un altro, e poi un altro ancora...». Chiaro riferimento a Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti, la cui posizione, sulla carta, è forse ancor più grave di Papa. Risultato: tutti a casa. È opportuno? No di certo. Ma adesso c’è un’altra esigenza: far vedere fuori dal Palazzo che il Carroccio non transige sull’opacità e che non difenderà più gli alleati chiacchierati.
Così, già in mattinata, Bossi dichiara che darà l’ordine di votare «sì» alla richiesta d’arresto del deputato pidiellino, dopo che in Giunta i suoi uomini si sono astenuti. Si andrà alla conta in Aula mercoledì prossimo, quindi. In serata il Senatùr è ancora più esplicito: «In galera», dice a chi lo interpella sul futuro dell’onorevole col nome altisonante. Dà vita a un siparietto con Gabriele Cimadoro dell’Idv che con lui si congratula per l’atteggiamento manettaro tenuto dalla Lega e, sull’invito di non cambiare posizione risponde: «Non siamo mica dei “barbun” come voi...». Attenzione, però. Le sorti di Papa si giocheranno a carte coperte e l’esito del voto non è affatto scontato. Lo scrutinio segreto, infatti, permette di nascondersi e occultarsi come i salvatori del Papa caduto in disgrazia. Si può sempre dire - cosa del resto molto probabile - che i «no» all’arresto arrivino dalle opposizioni, Pd e Udc in testa. Di certo fare i conti è sforzo vano, visto che all’interno del Pdl ci sarebbe qualche malpancista a rispondere picche alla magistratura. Quanti? «Una trentina», giura un pidiellino che vuole restare anonimo. Questi, però, potrebbero sposare la tesi del vicepresidente dei deputati del Pdl Massimo Corsaro, riassumibile nel «No all’arresto, ma si sospenda dal partito e dal gruppo». Cosa che in effetti accade nel tardo pomeriggio quando Papa recapita al capogruppo Cicchitto una lettera di sospensione: «Al fine di evitare facili strumentalizzazioni che potrebbero far equivocare in ordine alla mia assoluta buona fede ed al mio fondamentale desiderio... di affrontare tutte le fasi necessarie per vedere finalmente trionfare la verità, mi si impone una scelta sofferta, ma meditata - scrive l’onorevole -: ti comunico che rimetto nelle tue mani la mia appartenenza al gruppo parlamentare della camera del Popolo della libertà».
E il Carroccio? Non arretra dalla linea ufficiale che, si mormora insistentemente, sia una vittoria dei cosiddetti «maroniti», ossia gli uomini vicini a Maroni, sempre più inclini a una politica di smarcamento dal Pdl. Una vittoria mascherata dietro al fatto che è lo stesso Senatùr a dare la linea mentre il capo del Viminale, sulla delicata questione, si trincera dietro un «no comment». Così, coperta dal voto segreto, anche la Lega potrebbe non votare compatta. Da una parte i «maroniti», dall’altra i «reguzzoidi», vicini all’attuale capogruppo Marco Reguzzoni, decisamente più filo berlusconiano. Questi ultimi sono in minoranza, una dozzina di deputati su 59, anche se i garantisti doc sono ben più di dieci e siedono anche tra chi non ama Reguzzoni. «Non mi sembra che ci siano le tre condizioni (pericolo di fuga, reiterazione del reato e inquinamento delle prove) - ragiona un leghista -, ma occorre pure dare un segnale là fuori». Insomma, sulla carta Papa va sacrificato in nome del consenso. Seppur negato in più occasioni, dentro il Carroccio continuano a soffiare le correnti e ancora una volta si vocifera di un sacrificio di Reguzzoni, a vantaggio di Giacomo Stucchi, già la prossima settimana.
In ogni caso mercoledì sarà una giornata clou e se Papa dovesse effettivamente cadere si consumerebbe un bello strappo tra Pdl e Lega. Con conseguenze sul governo? Il Senatùr in persona tende ad escluderlo.
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