Una libera professione bella e creativa

Una libera professione bella e creativa

Arnoldo Juvara

Sono vecchio di 44 anni di professione per cui ritengo, a pieno titolo, anche se immodestamente, di trattare, seppur brevemente e per i «non addetti ai lavori», un argomento non difficile da illustrare ma, certo, non facile da trasmettere in modo sereno e obbiettivo a chi non conosce e non fa il libero professionista. E’ infatti frequente sentirsi dire «beato te che sei professionista.» Come in tutte le affermazioni, anche in questa c’è del vero, ma non è tutto oro quello che luccica, come si dice. Va subito chiarito che lo spirito di queste righe è e vuol essere libero da ogni pensiero che non sia quello di illustrare un tipo di lavoro e di vita, in virtù delle esperienze maturate, esso è quindi scevro da qualsivoglia influenza politica e ideologica.
Amo dire, a chi ci definisce «beati liberi professionisti», che sì siamo liberi, ma di essere schiavi: del lavoro, dei clienti, della promozione della nostra immagine, dell’ansia di avere lavoro sufficiente per le nostre esigenze, ecc. Abbiamo, di contro, forti gratificazioni dal nostro lavoro che, per taluni, spesso non premiano le «schiavitù».
La nostra attività è bella, creativa, di grande responsabilità sia sul piano economico sia umano. Essa spazia dalle attività più minute come una denuncia catastale, un parere su modeste questioni immobiliari, sino alla predisposizione di progetti anche significativi, alle stime di patrimoni, alle consulenze in ausilio ai magistrati o ai privati, all’esecuzione di rilievi topografici, anche di rilevante entità, ai tracciamenti di qualsiasi tipo, alle direzione lavori più diverse; insomma ove esiste un immobile, sia esso casa o terreno, la figura del geometra libero professionista, è sempre presente nelle forme più svariate. Nei condomini noi siamo più che mai utili, nelle liti ove gli immobili e i diritti-doveri a essi connessi sono implicati, noi siamo presenti, nelle vendite, nelle manutenzioni e ristrutturazioni, ecc. Ma, come dicevo, lo svolgimento dei lavori, così frettolosamente e incompiutamente sopra elencati, comporta una serie di attività e problemi, specie nel contesto attuale, che costituiscono le schiavitù e spesso le amarezze della libera professione.
Intanto la prima e sisifica fatica è quella di crearsi un immagine, quindi clientela, e da essa il lavoro e poi mantenerla e incrementarla. I giovani professionisti ben conoscono queste difficoltà specie se non hanno un padrino o, meglio, dei riferimenti partitici. La concorrenza, almeno per noi, è forte perché nasce anche dalle categorie concorrenti con cui, spesso, non riusciamo a competere, specie per chi ha uno studio con personale, quindi con costi maggiori.
Poi il lavoro va eseguito e molto bene, con competenza e responsabilità, sia per ovvie ragioni morali e di serietà, sia per accontentare e quindi conservare il cliente; ciò nonostante i grandi ostacoli presenti specie nella pubblica amministrazione: Catasto, ove in periodi particolari è necessario iniziare le code di notte; in comune, ove la burocratizzazione ha raggiunto livelli insopportabili con tempi lunghi e attese ancora maggiori; soprintendenza, ove la discrezionalità è propria di quella struttura con grandi sofferenze e tempi di attesa per i progettisti e altre ancora. Poi c’è la tribolazione (timore prima) di predisporre la parcella e (fatica poi) di riscuoterla, con ansie e perdite di tempo non indifferenti che, non di rado, costringono ad appoggiarsi ad un legale. Infine: la lotta economica, insomma far quadrare i conti con le spese da sostenere; le assicurazioni da stipulare per garantirsi ciò che il normale dipendente ha garantito per contratto. E allora ecco che si lavora anche la sera, il sabato, a volte la domenica, si trascurano in parte la famiglia e altri doveri diversi dal lavoro, in uno si diventa schiavi come dicevo.
Questa è la parte meno «lucente» e meno nota della nostra professione, quella che, talvolta, ci fa dire «perché non ho fatto il dipendente?», ma poi a ben vedere e, nonostante tutto, il nostro lavoro ci appassiona, ci piace e non l’abbandoneremmo perché, come scriveva Einaudi «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli e scoraggiarli.

E’ la vocazione naturale che li spinge ... il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda ... acquistare credito, ispirare fiducia e clientele sempre più vaste ... costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno».

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