nostro inviato
a Reggio Calabria
Dopo i corvi, le microspie e i veleni in procura a Reggio, dopo le autobombe e i morti ammazzati ovunque in Calabria, spunta adesso un devastante «pizzino». Quello rinvenuto nel covo del super boss Pasquale Condello, definito il «Provenzano della ndrangheta», indirizzato a un magistrato di quello stesso distretto reggino finito ora nel ciclone per il rinvenimento di una «cimice» piazzata negli uffici del pm Nicola Gratteri. Il biglietto autografo del Padrino scovato nellappartamento al rione Pellaro annoterebbe «indicazioni» e «suggerimenti» per linterlocutore istituzionale. Risulterebbe «in entrata», ovvero come «risposta» a un precedente messaggio spedito dal capo della cupola calabrese. Niente nomi sul foglietto, ma i sospetti sono mirati essendo i riferimenti dettagliati. Il riserbo, come si dice in questi casi, è fittissimo causa le indagini in corso e laria che sè fatta inquinata grazie a una serie di lettere anonime arrivate a poche ore dallinsediamento del nuovo procuratore, Giuseppe Pignatone, lex aggiunto di Palermo che proprio investigando sulle talpe allinterno della procura di Palermo riuscì a scovare infedeli funzionari dello Stato. Ma cè di più. Ieri la ndrangheta ha fatto sentire nuovamente la sua voce dopo aver già seminato morte da Gioia Tauro a Crotone fino a Reggio. Un paio di sicari hanno riempito di piombo un ex consigliere comunale, imprenditore ittico di Lamezia Terme, Gino Benincasa, già coinvolto (e prosciolto) nel trafugamento della salma di quellAntonio Perri che aveva osato sfidare le cosche ribellandosi al racket. Si tratta del terzo imprenditore preso di mira dalla criminalità calabrese dopo Antonio Longo (assassinato sulla susperstrada Catanzaro-Lamezia il 26 marzo scorso) e Antonino Princi (in gravissime condizioni allospedale per lesplosione della sua auto) su cui pendeva una richiesta darresto per concorso esterno in associazione mafiosa. Lomicidio Longo proprio nelle ultimissime ore ha evidenziato un link coi «veleni» di procura, essendo la vittima in rapporti lavorativi con il fratello di un magistrato calabrese. E per restare ai corvi e ai miasmi a palazzo di giustizia, sono destinate a deflagrare alcune intercettazioni disposte dalla Direzione distrettuale antimafia nelle quali sembra palesarsi la talpa in toga che avrebbe soffiato allesterno notizie delicatissime coperte dal segreto istruttorio. Conversazioni in codice, criptate: «Luomo del caffè oggi non cè» dice la presunta fonte infedele al suo interlocutore.
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