"La libertà di coscienza? Conta più del Pontefice"

In un libro gli scritti di Ratzinger sul ruolo della religione: "Il Papa non può imporre ai cattolici i precetti che vuole, deformerebbe il significato del papato"

"La libertà di coscienza? 
Conta più del Pontefice"

E Ratzinger brindò alla coscienza e alla sua libertà, facendo propria la celebre frase del cardinale John Henry Newman (nell’immagine a sinistra): «Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo - cosa che non è molto indicato fare - allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa». Un Papa che «non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti, solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile. Una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato».
Sono parole attualissime, e che per qualcuno oggi potrebbero suonare sorprendenti, quelle pronunciate da Joseph Ratzinger diciannove anni fa nel corso di una conferenza dedicata al tema della coscienza, un testo che insieme ad altri del futuro Pontefice viene ora pubblicato nel volume Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore (Edizioni Cantagalli, pp. 176, euro 13,50), in libreria da dopodomani. È significativo, infatti, che Benedetto XVI abbia deciso di raccogliere questa come altre riflessioni, dedicate alla «dittatura del relativismo», al «fine dello Stato», al problema «dell’evidenza morale»; e di pubblicarle in un momento in cui il Papa e i vescovi sono spesso sotto accusa. Criticati aspramente per voler imporre il giogo dei loro precetti e delle loro norme morali anche a chi non crede - basti pensare al recente polverone sollevato dalle dichiarazioni del Pontefice sul preservativo e la lotta all’Aids. Criticati per aver trasformato la Chiesa in una «Chiesa dei no», come si legge nel titolo di un recente volume del vaticanista di Repubblica, Marco Politi.
Nel suo Elogio della coscienza, Ratzinger osserva che oggi essa è diventata «il baluardo della libertà di fronte alle limitazioni dell’esistenza imposte dall’autorità».
Se il magistero ecclesiastico «vuol parlare in materia di morale, può certamente farlo, ma solo proponendo elementi per la formazione di un autonomo giudizio alla coscienza, la quale tuttavia deve sempre mantenere l’ultima parola». La fede viene dunque presentata - spiega il Papa - come «un peso difficile da portare e che sia adatto certo solo a nature particolarmente forti: quasi una forma di punizione, e comunque un insieme oneroso di esigenze cui non è facile far fronte». Concezioni di questo tipo, negli ultimi decenni «hanno visibilmente paralizzato lo slancio dell’evangelizzazione: chi intende la fede come un carico pesante, come un’imposizione di esigenze morali, non può invitare gli altri a credere; egli preferisce piuttosto lasciarli nella presunta libertà della loro buona fede».
Ratzinger critica esplicitamente la concezione di coscienza del liberalismo: «La coscienza non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi. La coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità. Essa si trasforma nella giustificazione della soggettività, che non si lascia più mettere in questione, così come nella giustificazione del conformismo sociale, che come minimo comun denominatore tra le diverse soggettività, ha il compito di rendere possibile la vita nella società. Il dovere di cercare la verità viene meno, così come vengono meno i dubbi sulle tendenze generali predominanti nella società e su quanto in essa è diventato abitudine. L’essere convinto delle proprie opinioni, così come l’adattarsi a quelle degli altri sono sufficienti».
Ratzinger, ricordando alcune discussioni accademiche alle quali aveva partecipato, mette però in guardia dal carattere di ultima istanza che tutto giustifica dato alla coscienza nell’epoca moderna: «Se ciò dovesse avere un valore universale, allora persino i membri delle Ss naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in paradiso. Essi infatti portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione e anche con un’assoluta certezza di coscienza». «Fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni».
Benedetto XVI introduce qui la frase di Newman, deciso a brindare «prima per la coscienza e poi per il Papa», spiegando che con quelle parole il cardinale voleva fare «una chiara confessione» dell’autorità pontificale, «ma anche un’interpretazione del papato, il quale è rettamente inteso solo quando è visto insieme col primato della coscienza - dunque non ad essa contrapposto, ma piuttosto su di essa fondato e garantito». Anche se «comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà».
La prospettiva si presenta invece del tutto diversa se si considera la coscienza come «la presenza percepibile e imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso». Un uomo di coscienza, afferma Ratzinger, «è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante». La voce della coscienza dunque «non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale».
La «voce della verità», insiste Benedetto XVI, non è qualcosa di imposto dal di fuori, «il senso del bene è stato impresso in noi», dichiara sant’Agostino (nell’immagine in alto a destra). «A partire da ciò siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa». Quest’ultimo non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza».
Certo, conclude Ratzinger, «la via alta ed ardua che conduce alla verità e al bene non è una via comoda», ma «noi dissolveremmo il cristianesimo in un moralismo se non fosse chiaro un annuncio, che supera il nostro proprio fare».

La vera «novità specifica» del cristianesimo è che la verità si è incarnata in una persona, Gesù Cristo, ed è diventata allo stesso tempo misericordia, perdono, riconciliazione. «Laddove questo centro del messaggio cristiano non viene sufficientemente proclamato o percepito, là la verità si trasforma di fatto in un giogo, che risulta troppo pesante per le nostre spalle».

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