Politica

Libertà di licenziare, Bertinotti boccia Prodi

Antonio Signorini

da Roma

Il lavoro alla danese non piace alla sinistra. Non a Rifondazione comunista. Ma nemmeno i riformisti, l’area del vecchio Pci che provò a trapiantare il socialismo scandinavo a Botteghe oscure, oggi se la sentono di abbracciare il moderno welfare to work di Copenaghen. Introdurre anche in Italia libertà di licenziamento compensata da un’efficiente rete di protezione sociale? «Non ci pensiamo proprio», è la risposta del segretario del Prc Fausto Bertinotti all’appello lanciato dall’economista Francesco Giavazzi sul Corriere della sera e raccolto con entusiasmo da Romano Prodi come unico modo per evitare il declino del Paese.
La tesi di Bertinotti è diversa rispetto a quella del leader dell’Unione e candidato premier della sinistra. «Come si può - spiega - immaginare di porre a raffronto realtà così diverse? Stiamo parlando di libertà di licenziamento in un paese di ridotte dimensioni, con un’economia forte e un sistema di piena occupazione, dove tale meccanismo in realtà accompagna il trasferimento da un lavoro a un altro».
Il sì di Prodi alla ricetta danese è caduto proprio nel giorno più importante per il programma dell’Ulivo in tema di politiche sociali e lavoro. Ieri si è tenuta l’ultima riunione della commissione welfare prima della stesura dei documenti finali da sottoporre all’approvazione dei leader dei partiti e dello stesso Prodi. Dei cinque punti di Giavazzi non si è discusso, ma il tema è ben presente a tutti i responsabili lavoro dei partiti. Il responsabile Lavoro dei Ds Cesare Damiano nega l’adesione di Prodi al modello «licenziamenti liberi più protezione» (un’interpretazione «strumentale e infondata»), ma conferma il viaggio in Danimarca e Svezia insieme a Tiziano Treu della Margherita e Paolo Ferrero del Prc: «Abbiamo apprezzato tutti il livello di tutela sociale che esiste in quei paesi. Al tempo stesso - precisa - sappiamo che quel modello non è meccanicamente trasferibile all’Italia; per noi non si pone il problema di rendere possibile il licenziamento. Le norme attuali a partire dall’articolo 18 a difesa del quale abbiamo combattuto rimangono. Si tratta di vedere in che modo dotare l’Italia di una rete di protezioni sociali che non sia solo riferita al lavoro stabile, ma anche al lavoro flessibile».
Il problema posto da Giavazzi, quindi, non si pone nemmeno. Per il momento l’Unione è alle prese con un’altra riforma, sempre ispirata ai principi del welfare to work, ma molto più morbida: la legge Biagi. Ieri è stata confermata la divaricazione tra le due anime dell’Ulivo, ma si comincia a delineare un possibile compromesso. In sintesi: rimane la distinzione tra chi chiede l’abolizione della riforma del lavoro varata dal governo Berlusconi e chi invece punta a superarla. Ma poi, in concreto, si mantengono molte delle innovazioni introdotte dalla «legge trenta» (così il centrosinistra chiama la riforma) compresi i contestatissimi «lavori a progetto», che si vorrebbero però limitare e rendere più onerosi. E questa linea è condivisa da tutti, Prc compreso.
«Siamo tutti d’accordo», assicura Damiano. Su cosa? «Siamo contrari alla legge 30 che moltiplica le forme di lavoro precarie. Siamo d’accordo tutti a dire che il lavoro a tempo indeterminato deve diventare la normale forma di occupazione». Più nel particolare, i contratti flessibili previsti dalla Biagi, «il tempo determinato, l’apprendistato, i lavori a progetto e l’interinale sono strumenti a disposizione delle aziende soltanto se si verificano delle richieste di mercato. Non deve essere una modalità di lavoro sostituiva del normale lavoro a tempo indeterminato. Bisognerà anche fissare delle soglie di utilizzo delle quantità in rapporto all’organico totale».
In sostanza i lavori a progetto, che hanno sostituito i vecchi Co.co.co, nel programma del centrosinistra non scompaiono, ma saranno limitati.

Rifondazione comunista rimarcherà comunque la sua contrarietà totale alla «legge 30», rispetto alla quale - spiega Alfonso Gianni del Prc - «bisogna voltare pagina, fare piazza pulita».

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