Libia, ora Obama molla Sarkozy e si va verso la spartizione del Paese

Obama spinto dai suoi a disimpegnarsi, i ribelli costretti a chiedere la tregua. Intanto a Londra un emissario dei figli di Gheddafi negozia la successione. Si va verso la separazione dalla Cirenaica. Il nostro governo e quello inglese ora sono i più qualificati per trattare l'esilio

Libia, ora Obama molla Sarkozy 
e si va verso la spartizione del Paese

Bengasi - Nicolas Sarkozy ridimensionato. Barack Obama messo con le spalle al muro dai suoi stessi generali. I ribelli costretti al negoziato e a rinunciare all’illusione di una vittoria finale. E l’Italia nuovamente protagonista. Quattordici giorni dopo la guerra di Libia riparte dal via. Il primo segnale arriva giovedì da Washington quando il segretario di stato Robert Gates e il capo di stato maggiore ammiraglio Mike Mullen comunicano alle commissioni difesa di Congresso e Senato che da oggi gli aerei statunitensi non parteciperanno più a nessun raid contro obiettivi libici.
Per chi fino a oggi aveva creduto alle dichiarazioni di una Casa Bianca decisa - apparentemente - a portare alle estreme conseguenze la guerra al rais quell’annuncio è un’autentica doccia gelata. Il cambio di rotta indicato da Gates e Mullen segnala infatti un completo ribaltamento di posizioni e di obbiettivi. I primi a farsene una ragione e a tirarne le conseguenze sono i ribelli di Bengasi. Non a caso ieri mattina - poche ore dopo l’annuncio di Washington - Mustafa Abdel Jalil presidente del Consiglio di transizione nazionale di Bengasi affronta concretamente l’ipotesi di una tregua e di un negoziato con le forze di Tripoli. «Non abbiamo obiezioni a un cessate il fuoco a condizione – dichiara Jalil - che ai nostri fratelli delle città occidentali sia garantita piena libertà d’espressione». In quell’offerta resa pubblica durante una conferenza stampa con l’inviato delle Nazioni unite Abdelilah el Khatib appena arrivato a Bengasi si nasconde l’implicita rinuncia a una conquista della capitale e delle altre provincie dell’ovest. E guarda caso l’ipotesi di un cessate il fuoco mediato dall’inviato delle Nazioni unite è proprio quanto previsto dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza per mettere fine all’intervento della coalizione. Ma per capire il senso delle dichiarazioni intrecciatesi tra Bengasi e Washington bisogna anche considerare il contesto in cui vengono rilasciate. Poche ore dopo le dichiarazioni di Jalil gli aerei della Nato danno il via a una serie di bombardamenti sul porto di Brega e le truppe di Gheddafi iniziano una ritirata che le porta all’entrata del terminale petrolifero di Ras Lanuf. In pratica mentre a Bengasi si parla di cessate il fuoco le truppe lealiste fanno un passo indietro, schierandosi lungo quello che le carte geografiche indicano come il confine amministrativo della Cirenaica. La mossa sembra tutt’altro che casuale. Nell’ipotesi di un cessate il fuoco immediato quella ritirata di una trentina di chilometri consentirebbe a Tripoli di mantenere il controllo di tutte le provincie occidentali e lo smistamento del petrolio. Nelle mani del Consiglio di transizione resterebbe invece solo una Cirenaica cronicamente ribelle, ma incapace di amministrarsi e governarsi autonomamente.
L’uscita di scena dell’aviazione americana, annunciata da Mullen e Gates a Washington, segna invece la fine dei piani di Obama costretto dai suoi militari a rinunciare a un intervento militare prolungato per favorire l’entrata a Tripoli delle forze dell’opposizione. Ma lo scenario negoziale non si ferma qui. Mentre sul terreno si riposizionano le pedine e gli aerei statunitensi abbandonano i cieli libici il governo inglese accoglie a Londra Mohammed Ismail, un emissario ufficiale del governo di Tripoli arrivato nella capitale britannica per avviare un misterioso negoziato a nome dei figli del rais. L’arrivo di Ismail e la «misteriosa» fuga del ministro degli esteri Musa Kusa sembran tutti tasselli di un complesso meccanismo messo in moto per permettere un’uscita di scena del Colonnello e la sua sostituzione con un esponente presentabile del vecchio regime. Questa soluzione negoziata segnerebbe la definitiva sconfitta della Francia di Nicolas Sarkozy, rimasto da solo dopo la debacle di Obama a sostenere i ribelli della Cirenaica e a premere per una soluzione militare del conflitto. L’Italia, nell’ambito di questo complesso rivolgimento politico e militare, sembra la nazione più avvantaggiata.

Osteggiato e marginalizzato quando per primo ipotizzava un’uscita di scena morbida del rais, il governo italiano è ora assieme a quello inglese il più qualificato per individuare una possibile alternativa al Colonnello e negoziare con i suoi familiari un possibile esilio. Un argomento destinato con tutta probabilità ad essere al centro dei colloqui tra la nostra diplomazia e Alì Abdel Aziz, l’inviato dei ribelli della Cirenaica in arrivo a Roma già domattina.

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