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Dopo la Libia, il Qatar: "Truppe arabe in Siria"

Assad resiste all'assalto. Lo strano gioco dello sceicco Al Thani, amico dell'America e dell'Iran

Dopo la Libia, il Qatar: "Truppe arabe in Siria"

Bashar Al Assad da dieci mesi è come un torero: mentre il toro della rivoluzione galoppa a corna basse contro di lui, con mille mosse riesce a evitare il disastro, or­mai previsto da tutti, del suo sanguinario regime. Per sopravvivere usa l’arma della ferocia con cui sono stati uccisi più di cin­quemila fra i suoi concittadini.

Molti hanno previsto che la sua pallida, lunga figura avrebbe presto fato posto a un governo dei ribelli, e ieri per la prima volta il mondo arabo ha rotto un tabù: lo sceicco Hamad bin Khalifa al Thani ha det­to che, insomma, «per fermare le uccisio­ni dovrebbero essere mandate le truppe ». Subito la sua presa di posizione ha inne­scato incerte reazioni, fra cui quella della Lega Araba che ha fatto sapere che nella prossima sessione l’idea di una forza ar­mata verrà discussa. Ma per l’autorevole Amr Mussa, ex segretario, ci vogliono ri­flessioni e consultazioni. Come dire: cam­pa cavallo. Sembra davvero improbabile che la Lega araba, spaccata e fragile, possa compiere una mossa drastica dopo la sua fallimentare missione, che ha ottenuto da Bashar solo la ridicola promessa di una amnistia per i prigionieri politici.

Ogni parola della Lega Araba suona sto­nata dopo che il membro tunisino della missione Anwar Malek ha abbandonato il campo protestando di essere stato usato come copertura, ed essere poi stato accu­sato a sua volta dal capo delegazione Mohammed Al Dabi di aver trascorso sei giorni in albergo, in lieta compagnia, sen­za mettere il naso fuori.

Il Qatar giuoca un suo spericolato giuo­co fatto di danaro a fiumi: lo sceicco a suo tempo ha investito parecchio nel rappor­to con la Siria, e l’oltraggiosa rottura è sta­ta un’iniziativa di Bashar. Il Qatar si barca­mena fra modernizzazione e islamismo, ha per ospite fisso Yusuf Al Qaradawi, lea­der islamico estremo, ha molto fomenta­to la rivolta libica, è in ottimi rapporti con la Fratellanza Musulmana in Tunisia e in Siria, fa il burattinaio delle rivoluzioni usando Al Jazeera, ospita tuttavia una grande base americana.

Ma in Siria la partita ha un nome ingom­brante, quello che ha impedito la destitu­zione di Assad. L’Iran, infatti, con tutti i suoi annessi e connessi, non lo abbando­na. Una recente visita del generale Qasem Suleimani, capo della forze iraniane Qu­ds, segnala il rifornimento continuo di ar­mi e uomini. La presenza di iraniani e di Hezbollah libanesi in Siria con le armi in mano è numerosa e feroce. E quando si di­ce Iran, si dice subito Russia, contraria a ogni interferenza contro l’amico Assad, così come peraltro lo è anche quando si parla di Iran.

Il cerchio si chiude su un disegno ege­monico di lunga tradizione. Il vicepresi­d­ente russo Dimitri Rogozin ha appena di­chiarato che un attacco all’Iran verrebbe considerato un attacco contro la Russia. No, Assad non è solo: una nave russa, la Chariot, salpata da San Pietroburgo il no­ve di dicembre, ha raggiunto con un «peri­coloso carico »l’undici gennaio le coste si­riane dopo una sosta a Cipro. La Cina è amichevole. L’Iraq di Maliki, anche. Il Li­bano degli hezbollah lo difende. La Lega araba è incerta e fragile, non sembra reali­stico che si impegni in una guerra.

L’esercito di Assad è ancora forte e la fa­migerata Shabiha, la forza alawita dei fuci­lieri, è quasi intatta.

Per ora purtroppo si configura solo una sanguinosa guerra civi­le.

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