Un libro celebra «Peppin», piedi d’oro e dribbling

Fa festa, fa festa la maglia azzurra: cent’anni che ci hanno riempito gli occhi di azzurro dolcezza e talvolta azzurro tenebra. Cominciò a sventolare in un match di calcio, dentro l’Arena di Milano che allora veniva denominata stadio civico, (Italia-Ungheria, 6 gennaio 1911). Finì 1-0 per gli avversari di quella maglia, in panchina c’era un signore che si chiamava Meazza, di nome Umberto, faceva parte della commissione tecnica. Avvocato nella vita. Sarà un caso, ma quando dici azzurro tutto corre a Meazza, quell’altro. Il vero Meazza, Giuseppe o Peppin. “Il primo fenomeno“, garantì Peppino Prisco. El folber, spiegò Gianni Brera. «Un ragazzo secco, secco, tutto occhi. Due piedi d’oro e dribbling inimitabili», raccontò Fulvio Bernardini che fu giocatore, allenatore, giornalista e ct. L’avventura di Meazza in azzurro iniziò nel 1930, a Roma in quello definito stadio del partito nazional fascista (P.N.F.), una domenica di febbraio contro la Svizzera. E fu subito gol. Poi ci fu anche lo scudetto con l’Ambrosiana (Inter). E fu sempre più grande.
Quindi ci sta bene legare il compleanno centenario della maglia azzurra con i ricordi di Meazza e con le storie di casa Meazza. Stavolta la curiosità sta nel “come e nel chi“ ci ha provato. È uscito un libro-storia-racconto-fotostoria su Meazza. E quelli che conoscono il soggetto diranno: ma cos’altro c’è da raccontare? Quelli che forse ne lambiscono a malapena nome e cognome, si chiederanno: vabbè, e allora? Allora, se un libro si intitola «Il mio nome è Giuseppe Meazza» (ExCogita editore, euro 35) come si trattasse di James Bond. E l’autore (insieme a Marco Pedrazzini) si chiama Federico Jaselli Meazza, qualche fantasia comincia a frullare.
Federico Jaselli è il nipote di Peppin ed ha letteralmente saccheggiato gli album fotografici di casa, e magari i bauli in solaio, per mettere a disposizione del mondo e del lettore tutto quanto fu e fa Meazza. Personaggio? Certo. Ma quel signore è stato il “Football“, e tanto d’altro. Un giorno Brera esclamò dalla tribuna, guardando Roberto Baggio: «Sembra Meazza». E lo scrisse. Peppino era un mito intoccabile per quelli della sua e anche di più giovane età. E il nipote ha scoperto la chiave per dimostrarcelo. La parte fotografica parla da sola, anzi parla come se fosse scritta.

Il racconto scritto è uno spumeggiare di piccole storie e situazioni intimistiche. Il resto è statistica, nomi, tabellini delle partite, ricordi di grandi personaggi e di giornalisti. Il privato messo in pubblico. E quell’azzurro gli donava sempre. Anche nel giorno dell’addio.

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