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Il liceale re degli scacchi: "Guardo l'avversario e lui mi dice come vincere"

Ha 17 anni ed è già campione italiano: "Mi alleno 3-4 ore al giorno, poi studio. Da grande farò il giocatore professionista"

Il liceale re degli scacchi: "Guardo l'avversario e lui mi dice come vincere"

Biblioteca del Palazzo di Giustizia a Milano: una ventina tra avvocati e magistrati si affollano dietro altrettante scacchiere distribuite su due lunghi tavoli. In piedi, in mezzo alla sala, un ragazzo alto e magro passa da una partita all'altra con un sorriso timido, scambiando qualche battuta con i suoi ben più anziani avversari. Luca Moroni, 17 anni, penultimo anno di liceo scientifico, è campione italiano di scacchi, un talento naturale: di fronte a sè ha appassionati che giocano da decenni, qualcuno è aspirante maestro. Ma il giovane non li vede nemmeno e in un paio d'ore gli avversari sono tutti, più o meno in contemporanea, sconfitti. Alla fine molti tra i perdenti gli faranno i complimenti, anche per la strategia: «Ha fatto una scelta chiara: ci ha lasciato giocare, se avesse voluto ci avrebbe annichilito in poche mosse». La conferma, tra le righe, arriva dall'interessato: «Eravamo qui per divertirci. Non era il caso di dimostrare niente a nessuno».

Di dimostrazioni da dare Moroni non ne ha davvero più: a 13 anni era Maestro nazionale, a 16 Maestro internazionale, appena compiuti i 17, pochi mesi fa, è diventato Grande maestro, categoria a cui appartengono solo pochissimi eletti. Nel frattempo è stato vice-campione del mondo under 16, oltre a essere, come detto, il campione nazionale in carica. Qualche tempo fa, per pubblicizzare gli scacchi nelle scuole, ha sfidato 120 ragazzini, più o meno suoi coetanei, nella più grande partita simultanea mai giocata in Italia. Manco a dirlo le 120 partite le ha vinte praticamente tutte. Il suo è un percorso unico. Unico e, tra l'altro, appena iniziato. Perchè Moroni guarda in alto.

Nel prossimo mese di novembre a Londra è in calendario quello che promette di essere uno dei più avvincenti campionati mondiali degli ultimi anni. Lo sfidante è Fabiano Caruana, nato a Miami e tesserato dalla federazione statunitense, ma di origine italiana; il campione in carica è il norvegese Magnus Carlsen. Sono i due golden boy della scacchiera, in grado di attirare attenzione mediatica e ricchi sponsor. «Il mio favorito è Carlsen», si sbilancia Moroni. «Sono tutti e due fortissimi, ma Carlsen è il Real Madrid degli scacchi. E lo dico io che sono juventino: è abituato a giocare e a vincere ad alti livelli e questo può fare la differenza». Il norvegese è diventato in mezzo mondo un personaggio pubblico, testimonial di colossi come Porsche o di grandi marchi dell'abbigliamento. Ma campione e sfidante hanno già la loro età: 27 anni Carlsen, contro i 25 di Caruana. Moroni è di una generazione più giovane e non nasconde le sue ambizioni per il futuro: «Di sicuro farò il giocatore professionista. E l'obiettivo è entrare nell'élite mondiale, visto che oggi sono già nella top ten degli under 18. Di scacchi comunque, almeno a un certo livello, si riesce a vivere bene, anche se non è certo il calcio», dice. «Naturalmente il talento non basta, ci vuole impegno. Si studiano le partite, le aperture, oppure i finali, bisogna analizzare le partite dei grandi campioni. Oggi mi alleno tre o quattro ore al giorno, ma devo conservare un po' di tempo anche per i compiti di scuola. Non sono proprio il primo della classe, ma me la cavo». A fargli da trainer in questo periodo è Boris Avrukh, un Grande Maestro di origine russa e nazionalità israeliana, più volte medagliato alle Olimpiadi di scacchi. «Vive a Chicago, pensi che non ci siamo nemmeno mai incontrati, facciamo tutto via internet».

Avrukh è l'ultimo di una lunga serie di insegnanti, prima italiani, poi russi. Moroni, nato a Bovisio Masciago, in piena Brianza, ha iniziato a giocare a sei anni. «Qualche tempo dopo ho trovato un volantino e mi sono presentato in un circolo. All'inizio perdevo quasi sempre ma mi è piaciuto subito». Intorno a lui, una famiglia normalissima: il padre è ambulante, vende prodotti alimentari al mercato, la madre lavora in un laboratorio dove si fabbricano divani. L'intellettuale della famiglia è il fratello, più vecchio di otto anni, che è laureato in fisica e vive in Lussemburgo dove disegna programmi informatici per banche e istituzioni finanziarie. Anche la fidanzata, la «tipa», come dice lui, è una scacchista. «Faccio una vita normale, esco quando posso. Certo, molti tra i miei amici sono appassionati di scacchi, abbiamo più cose in comune». Quanto alla famiglia, «i miei non mi hanno mai spinto in modo particolare, adesso si sono abituati a quello che faccio. Ne sono anche orgogliosi, ma soprattutto mi hanno sempre detto che sono contenti se potrò fare quello che mi piace. E io di dubbi non ne ho». La sua squadra è quella della Scacchistica di Ceriano Laghetto, il club dove ha iniziato a giocare. «Adesso stiamo partendo per i campionati nazionali a squadre. Non siamo male, magari non proprio da primo posto, ma almeno da metà classifica sì».

Insieme ai suoi compagni e ad altri giocatori di primo piano Luca ha già fatto in tempo a provocare un piccolo terremoto nel mondo scacchistico. In una lettera aperta al presidente della Federazione ha denunciato la compravendita di partite, una pratica emersa di recente anche a livello internazionale. «Non ci si può mettere d'accordo per perdere i match che si giocano e dividersi poi il premio», dice Moroni. Altra piaga messa sotto accusa è il cosiddetto «doping elettronico», i giocatori che si fanno suggerire dal computer le mosse da fare. Anche in questo caso lo scandalo riguarda sia l'Italia, sia alcuni tornei internazionali: di recente uno scacchista georgiano è stato scoperto mentre in bagno controllava sullo smartphone le mosse da fare. «Sotto certi aspetti il problema del computer negli scacchi è superato» spiega Moroni. «In una certa fase si voleva capire chi avrebbe vinto mettendo di fronte un computer e un uomo. Ora lo sappiamo: la capacità di calcolo di una macchina è troppo potente rispetto a quella umana. Per questo i computer si usano per studiare e preparare le partite. Ma quando si corrono i 100 metri alle Olimpiadi non ci si fa portare in moto...»

Quanto ai modelli Moroni cita un giocatore russo, Boris Kramnik, proprio uno dei giocatori impegnati nei primi anni Duemila in epiche sfide contro i programmi informatici. «Se però mi chiede qual è il mio stile di gioco, se più difensivo o d'attacco, le dico che non ce l'ho.

Il vero segreto è quello di adattarsi all'avversario, studiare i suoi punti deboli e fare leva su quelli».

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