Licenziate pure, ma esentasse

diSecondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre a un operaio licenziato per ragioni economiche spetta un indennizzo che potrebbe arrivare a sfiorare i 50mila euro. Una cifra di tutto rispetto, pari a 27 mensilità «piene», con la quale - con un po’ di spirito imprenditoriale - un operaio specializzato che abbia superato i cinquant’anni di età potrebbe persino accarezzare l’idea di diventare «padrone» aprendo un piccolo negozio, un laboratorio artigianale o un’officina, con buona pace di chi si ostina a difendere l’articolo 18, ultimo retaggio del sindacalismo rosso anni Settanta. Il vero problema è però che su quel tesoretto pesa una variabile impazzita: il Fisco. I 50mila euro - sono infatti «lordi» perché vanno tassati come una vera e propria buonuscita. L’alchimia è complessa e tiene conto dell’aliquota media che il lavoratore ha subito negli ultimi cinque anni ai fini della tassazione Irpef. Diciamo che, a conti fatti, un terzo di questa cifra, euro più euro meno, dovrebbero passare dalle casse dell’azienda direttamente in quelle dell’Erario. È giusto? Probabilmente no.

Uno Stato che decide di monetizzare la fine di un rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore, come peraltro già avviene in molti Paesi europei, dovrebbe anche avere il coraggio di rinunciare al suo appetito fiscale e lasciare intatto il tesoretto nelle tasche di un lavoratore che, suo malgrado, deve ricominciare da capo. Sarebbe un ottimo investimento per entrambi.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica