Marco Morello
Le pareti del salotto di Lidia Rita Bonomo sono piene di quadri di un vago sapore impressionista. Tutti incantevoli, soprattutto il più grande, che raffigura un vecchio treno immerso nella nebbia scura. Li ha dipinti lei a uno a uno, tanti anni fa, quando ancora le scorreva dentro il desiderio di creare, di suonare la chitarra e persino di cantare in televisione al fianco di Maria Teresa Ruta. Quella fiamma, complici le circostanze sfortunate della vita, si è smorzata fino a spegnersi completamente, distorcendole il volto in unespressione di sofferenza non rassegnata. Perché Lidia è una che non si è arrende, che non si è mai arresa, nonostante lintera burocrazia italiana sembra essersi rivoltata contro di lei.
Disabile e invalida civile, dopo tanto lavoro precario nella pubblica amministrazione, nel 1998 partecipa a un concorso indetto dal ministero per i Beni culturali riservato alle categorie protette. Lo supera, ma viene tagliata fuori in extremis dai soliti due «raccomandati». Lidia non ci sta, non sopporta quellingiustizia: scrive al presidente della Repubblica, ottiene uninterrogazione parlamentare, fa ricorso al Consiglio di Stato e vince la sua causa, la sua battaglia. Finalmente ottiene un posto da centralinista, che richiede però un tirocinio obbligatorio di sei mesi. Ma la salute è ormai compromessa, in anni di lotte le malattie si sono accumulate e aggravate: poliomielite, artrite, cardiopatia, tiroidite e una caduta che le provoca la lussazione del ginocchio le impediscono di muoversi da casa. Ai sensi della legge 68/99 chiede di ottenere il telelavoro, che gli viene negato nonostante sia un suo diritto: inizia quindi uno sciopero della fame che finisce solo per indebolirla ulteriormente, per aggiungere sofferenza a sofferenza.
La signorina Bonomo oggi ha 54 anni e nonostante le sue mille specializzazioni (ragioniera, dattilografa, operatrice informatica) ha capito che la società non sa cosa farsene di lei. Per andare avanti non ha altra scelta se non quella di ricorrere ai servizi sociali. Anche qui, però, è un calvario: con un mutuo ventennale da pagare, si trova costretta a sopravvivere con poco più di 200 euro al mese, segregata nella sua modesta abitazione. Accanto a lei solo la madre, una tenerissima nonna, invalida al cento per cento: «LAsl RomaB - racconta a fatica senza trattenere le lacrime - non mi ha concesso lindennità di accompagno nonostante ne abbia i requisiti. Si sono rifiutati di acquisire la documentazione sanitaria che attesta le mie patologie e non hanno mai inviato un medico per visitarmi».
E non è tutto: da 15 anni la donna attende dallInps le prestazioni che le sono dovute per i contributi versati dal marito, che ha lavorato 38 anni come impiegato. Lanziana signora percepisce soltanto la pensione minima. E allora Lidia scrive a tutti: Comune, Provincia, Regione, ministeri, istituzioni. Tutti i giorni. È un salotto che sembra un ufficio il suo: sul tavolo montagne di carta, documenti, ricorsi, fax, promesse scritte, ma nessun effetto pratico. «Ho fatto lavvocato di me stessa - racconta con amara ironia - ma non ho ottenuto nulla».
Il punto più basso di questa triste storia è arrivato ad agosto: con i volontari del servizio civile in ferie, madre e figlia non hanno avuto nessuno che facesse loro la spesa. Sono rimaste in gabbia a digiuno forzato, la spazzatura accumulata in un angolo.
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